La pandemia di COVID-19 e le relative misure di contenimento – principalmente allontanamento e isolamento fisico – stanno avendo conseguenze negative sulla salute mentale in tutto il mondo.
Qui ci riferiremo alla popolazione generale che viene messa in quarantena ma non isolata, ovvero quelli non direttamente esposti al contagio né in contatto con individui COVID-19.
La frustrazione, la solitudine e le preoccupazioni per il futuro sono reazioni comuni, ma in tale critica realtà possono rappresentare fattori di rischio per diversi disturbi mentali, tra cui ansia, disturbi affettivi da stress post-traumatico e problematiche affettivo-relazionali.
Ci troviamo tutti quanti, oggi, in una condizione oggettivamente difficile, incerta, con alte dosi di ambiguità e confusione, in cui fare errori gravi è possibile. E in cui sono in gioco molte vite. Da tutto ciò possiamo legittimamente sentirci spaventati. Ciò nondimeno, siamo tutti chiamati ad azioni coerenti con la realtà e con le indicazioni che gli esperti cercano di fornire con dovizia di dati e consigli.
Il negazionismo e il complottismo
È ben noto il mito di Cassandra, sacerdotessa di Apollo con il dono della profezia, alle cui tristi previsioni nessuno vuole credere. È la sorte a cui sono andati incontro virologi, infettivologi, epidemiologi, i cui appelli non hanno avuto seguito in gran parte della popolazione, che nella passata estate si è sentita “fuori pericolo”.
Complici i cosiddetti “opinion maker”: alcuni giornalisti e conduttori televisivi, personaggi dei social e politici; per non tacere degli operatori economici (vedi gestori delle discoteche) e qualche specialista che è scivolato su un piano non suo!
Meglio allora negare l’angoscia piuttosto che dover affrontare le conseguenze di quella che si prospettava essere una vera e propria calamità: mettere la testa sotto la sabbia insomma. Da qui la negazione di tipo psicotico, accompagnata da forme interpretative deliroidi allargate come quella del complotto: il negazionismo.
Da aggiungere quella che si può definire cripto-negazione: toni trionfalistici e autocompiacenti utilizzati per i risultati oggettivamente raggiunti alla fine della prima ondata pandemica, oppure rimedi presentati come definitivi!
Il Lockdown e la paura
L’effetto indiretto più importante della pandemia, il più sofferto e paventato per le sue pesanti conseguenze psicologiche e economiche è senza dubbio il lockdown che qui chiamerò reclusione forzata, oggi ancora parzialmente attivo nelle cosiddette zone rosse.
La “reclusione forzata”, pur se domiciliare e temporanea, non si accetta a cuor leggero neppure per condanna giudiziaria (anche se offre un’alternativa alla carcerazione). Ce la si può imporre, magari, per scelta ideale – religiosa, filosofica o politica – ma qualsiasi essere vivente tende sempre a guadagnarsi la libertà, che corrisponde primariamente al procurarsi il cibo.
Ne è esempio l’atto compulsivo-aggressivo dell’accaparramento in vista di improbabili indisponibilità di beni primari di consumo.
Esiste, però, la possibilità che il rifiuto del confinamento fisico obbligato sia figlio della paura; o meglio, del tentativo di evitarla: è la paura della paura (paura presagita), data anche l’incapacità diffusa di adattarsi rapidamente a un significativo cambiamento della vita quotidiana.
In tal modo si evita il pericolo, ma al contempo si deve fare i conti con il distress dovuto a uno a dei vissuti più impegnativi, il più arcaico, che nasce con la vita stessa: la paura appunto.
Le relazioni durante il lockdown
L’esperienza di reclusione forzata parziale del lockdown, sebbene necessaria, è pur sempre un’imposizione e a medio-lungo termine, non necessariamente alla sua conclusione, comporta effetti di vario tipo sull’equilibrio del soggetto “normale”, qui inteso come non gravato da diagnosi psichiatrica in anamnesi, anche se può esservi un disturbo latente che può emergere proprio in questa condizione, comportante non solo relazioni allentate se non interrotte, ma, si badi bene, anche relazioni criticamente ravvicinate e già conflittuali da tempo.
In quest’ultimo caso si tratta spesso di convivere tutto il giorno con il proprio nemico!
È in sostanza uno stato di cattività (cattura) con aumento critico dell’aggressività e rischio di violenze in ambiente domestico soprattutto a discapito delle donne; ma non ne sono esenti i bambini.
Voglio mettere in evidenza questo aspetto: accade sovente di sopravvivere a rapporti problematici proprio con l’allontanamento quotidiano per occupazioni varie.
In buona sostanza, durante il lockdown si è troppo lontani da quello che è fuori casa e che ci è caro, o troppo vicini a quello che è dentro e che vorremmo evitare perché vissuto con pena e stato di sottomissione.
Le ricadute sull’affettività e la sessualità
L’alterazione coatta delle distanze relazionali, in una direzione o l’altra, modifica l’assetto gerarchico delle relazioni stesse con ricadute anche sulla sessualità e sull’affettività.
Aggiungo che la lontananza temporanea, e parlo ancora di quella quotidiana, “rinnova” il desiderio. Al contrario, la vicinanza soffocante lo “deprime” con conseguente deprivazione sessuale, insoddisfazione e colpevolizzazione del partner, visto in una nuova luce, che porta a incrinare pericolosamente il rapporto.
Non è da escludere, d’altronde, che una coppia stabile ne venga invece favorita, riscoprendosi e rivalorizzandosi.
Il corpo umano ha bisogno di eros, calore. Di tutto quell’apparato di comunicazione più antico, precedente al linguaggio, che si basa su tatto, olfatto e gusto. L’anosmia (assenza di olfatto) e l’ageusia (assenza di gusto), guarda caso, segnalano la presenza del virus.
Per l’affettività è la lontananza fra cari a giocare il ruolo più importante e viene preclusa soprattutto la tattilità, ossia l’organo pelle, protagonista dei “contatti ravvicinati”. Drammaticamente niente più strette di mano, abbracci, carezze: la deprivazione affettiva se vogliamo è più importante, in quanto non è sostituibile da nessuna attività “autonoma”!
Ad ogni modo, relazioni affettive, amore e sesso appaiono essere evidentemente vittime designate del distanziamento sociale. Possiamo affermare che il Covid è una malattia affettivamente trasmissibile? Penso di sì! Non ha viaggiato tra letto e letto, come l’AIDS, ma fra gente che festeggia, viaggia, fa sport, ecc. Corre con il vento incontrollabile dell’affettività!
Come cambia la percezione del tempo nel lockdown
Anche la percezione del tempo subisce variazioni significative. Si vive sulla “borderline di un orrido”. Tutto è rimandato, il domani non è facilmente programmabile. È una specie di “ansia da limbo” ove il tempo è sospeso e si rimane in perenne attesa che può condurre a comportamento rinunciatario: in sostanza una paralisi!
Lo stress mentale dovuto alla pandemia
Alla luce di tutto ciò, risulta inevitabile un’azione convergente (multicentrica) di vari fattori agenti uno stress mentale. Si può parlare, dunque, di ricadute indirette della pandemia da Covid-19, effetto non paradossale della prevenzione sanitaria che comporta sempre sacrifici individuali e sociali.
Alcune attività che possano ovviare all’isolamento sono state proposte (anche se trattasi di una sorta di inganno mentale) come la navigazione in Internet e quella sui social network, ma il loro effetto positivo deve essere ancora confermato, poiché in questa fase è solo speculativo.
Inoltre, se da un lato è utile una ridefinizione del tempo sospeso della pandemia, esso può servire a mettere a fuoco degli aspetti positivi; tra questi, il recupero dei ruoli famigliari e una maggiore presenza dei genitori nello spazio della famiglia.
Si rimodellano allora le gerarchie dei valori e il tempo rallentato condiviso comporta la necessità di riscoprire la fiducia reciproca. In definitiva non se ne esce come si è entrati. Questo è certo.