Il disagio psicologico provocato dal ritiro sociale forzato, il cambiamento repentino delle rassicuranti abitudini quotidiane, la mancanza di prospettive con incertezza sul futuro, segnato anche dalle gravi conseguenze economiche, sottopongono l’intera popolazione mondiale all’aumento delle condizioni di stress, tanto quelle prolungate e, dato da non trascurare, quanto quelle intermittenti.
Gli effetti psicologici del Covid sugli adolescenti
Diciamo subito che gli effetti del Covid-19 sugli adolescenti si andranno a configurare più organicamente in un prossimo futuro, data anche l’imprescindibile duttilità e modificabilità del “materiale umano” di quell’età, quando tutto è in fieri e itinere al contempo.
L’adolescenza è una fase evolutiva di transizione dall’età infantile a quella adulta, fondamentale. La famiglia non basta, ci sono dei limiti oggettivi al ruolo della famiglia. E ce ne stiamo accorgendo ancora di più in questo periodo! Come recita un antico proverbio Masai: «Ci vuole un villaggio per crescere un bambino».
Istruzione (letteralmente “strutturare dentro”) e educazione (“tirare fuori”) sono inestricabilmente intrecciate. L’attuale emergenza sanitaria implica un contesto fisico, sociale e culturale che rende ancor più complesso fronteggiare questo delicato momento evolutivo.
Dopotutto, non c’è nulla di più imprevedibile del percorso evolutivo adolescenziale. A proposito della “materia umana”, questa cruciale e contradditoria fase della vita sembra come sostanziarsi in un panetto d’argilla che prende forma sul tornio del vasaio. Già: il vasaio! Prenderò a prestito questa figura mitica e metaforica al contempo, per orientare il mio percorso descrittivo e, possibilmente, prospettivo.
Si potrebbe dire che per “vasaio” si possa intendere tutto quell’insieme sistemico di linguaggio, comportamenti, relazioni, avvenimenti accidentali e incidentali, emozioni, affetti, sentimenti, dubbi e certezze, presunzioni, esaltazioni e profonde depressioni: vale a dire quell’universo in cui orbita il pianeta adolescente.
Un periodo di deprivazioni e stravolgimento delle abitudini
Penso che le conseguenze di questa pandemia si potranno mettere in capo più alle deprivazioni di una o più delle suddette esperienze cognitive e sociali, piuttosto che al sopravvenire dell’emergenza sanitaria in quanto tale che stiamo vivendo.
È quello che viene a mancare che pesa di più: contraddizione, paradosso o ossimoro?
Lo stravolgimento delle abitudini di vita, il distanziamento sociale, il senso di incertezza e precarietà, l’iper-responsabilità individuale o, al contrario, vissuti di de-responsabilizzazione sono alcuni degli elementi che possono ostacolare la possibilità (e necessità!) di sperimentare ed esplorare in questa fase evolutiva.
Si è costretti a fare in casa quello che si dovrebbe fare fuori e con gli altri.
Il pigiama diventa la tenuta del prigioniero, non ci si può addobbare come ai giovani piace fare, rimarcando con tale comportamento un loro simbolico carattere distintivo personale all’interno del gruppo di riferimento o in contrasto con esso.
L’apparire e l’immagine di sé vengono a essere coartati con quasi violenza, e il confronto con i coetanei impedito: cosa davvero triste e avvilente!
Il gruppo di appartenenza si dissolve: le dinamiche formative della personalità di ciascun componente non trovano luogo e il flusso di informazioni circolari che turbinano al suo interno si volatilizzano e non possono certo essere sostituite da quelli “virtuali” delle reti social!
Tutto si frammenta: l’esercizio al linguaggio che si intoppa, il confronto interpersonale non trova punto di incontro o scontro, come a dire “inutile e sconclusionato”.
Il dialogo avviene fra tribù inselvatichite che cercano di comunicare, ma non hanno più quell’empatia collaudata ed esperita che può venire loro in soccorso!
Con la chiusura delle scuole, delle discoteche e dei centri di aggregazione, le limitazioni alla mobilità e agli scambi interpersonali, la routine (e palestra) di socializzazione per molti adolescenti ha subìto cambiamenti considerevoli e potenzialmente destabilizzanti che possono generare sentimenti altamente contrastanti, i quali vanno dalla paura alla pseudo-indifferenza, dalla tristezza alla rabbia.
Nulla di strano: l’infezione da Coronavirus è un contagio anche emotivo e affettivo come ho rilevato in un mio precedente articolo su questo sito.
Gli effetti psicologici della Didattica A Distanza
La didattica a distanza, inoltre, può ostacolare la possibilità di ricevere limiti e guida adeguati a causa dell’assenza “fisica” dell’insegnante, ovvero dell’adulto autorevole di riferimento che ha il compito di monitorare, regolare e orientare “in presenza”.
Per di più, la didattica a distanza può essere associata a vissuti di solitudine e inadeguatezza relativi allo studio, con preoccupazioni relative al non riuscire a stare “al passo” dei compagni come prima, al non essere abbastanza preparati, alla sensazione di non riuscire a adattarsi bene come gli altri fanno (o sembrano fare).
Certe sensazioni possono condurre a sperimentare difficoltà di attenzione e concentrazione, desiderio di abbandono, calo dell’impegno e del rendimento scolastico. Oppure, al contrario, possono spingere ad attuare comportamenti di iper-controllo come “l’iper-studio”, soltanto apparentemente meno dannosi.
Quanto è importante la socialità per i ragazzi?
Fuori da scuola, poi, le limitazioni nella possibilità di svolgere attività sportive o di incontrare gli amici limitano i processi di socializzazione e privano di stimoli preziosi il cervello dell’adolescente che, tipicamente, tende ad annoiarsi più facilmente rispetto a quanto accada in altre fasi evolutive. Oltre a implicare che i ragazzi sperimentino meno stanchezza, con possibili ripercussioni, ad esempio, sul ritmo sonno-veglia.
Senza sollecitazioni culturali coerenti, insieme alla riduzione critica di feedback relazionale dovuta alla disgregazione del gruppo di coetanei, l’adolescente appassisce o devia pericolosamente verso azioni di immediata fattibilità e disponibilità, come l’aggressività o l’uso di alcolici e sostanze stupefacenti.
L’energia aggressiva che si accumula può esplodere in qualsiasi momento, sia in forma impulsiva che organizzata (baby-gang o flashmob violenti): una sorta di burn-out collettivo. Ma anche implosiva come atti autolesionistici, se non suicidari.
Senza possibilità di aggregazione della gioventù come la scuola, gli sport di squadra, attività artistiche, volontariato civile obbligatorio (un certo rammarico non nostalgico si ha per l’abolizione del servizio militare di leva), l’aggressività insita nell’animale umano seguirà le leggi della fisica: energia compressa prima o poi troverà una via esplosiva d’uscita!
Per tacer della sessualità, che rimane immatura, approssimativa e improvvisata, se non a imitazione di comportamenti acquisiti da serie tv che inevitabilmente colmano il tempo di inattività casalinga.
Tutti questi elementi, che presi singolarmente già sarebbero argomento di studio e dibattito, ma che qui possono essere solo accennati e abbozzati, sono fonte, per alcuni, in particolare se vulnerabili o già fragili, di conseguenze estremamente problematiche e perduranti nel tempo.
Cosa possiamo fare? Quale futuro per questi adolescenti?
Che ne sarà di loro nessuno può dirlo. Certo stiamo assistento alla nascita di una generazione che riserverà non poche sorprese.
Qualcuno poteva prevedere, dopo vent’anni di penosa dittatura, che scaturisse, quasi dal nulla, una massa di giovani che se ne andasse a combatterla sulle montagne? Eppure avevano frequentato la stessa scuola e le stesse atmosfere di quelli che stavano dall’altra parte! E che dire di tutta quella generazione che ha partecipato attivamente alla ricostruzione della nazione distrutta, nella materia e nello spirito, dalla guerra fascista?
Una cosa, però, possiamo fare: osservarli per come appaiono oggi. E la loro rappresentazione è tra il deludente e l’irritante. Sembrano, temo, mine vaganti.
Notiamo in loro, e sempre più spesso, stolidità, andamento volutamente barcollante, sguardo al limite dell’eboide, silenzio straniato e straniante, un linguaggio quasi balbettato e vuoto. “E stanno come color che son sospesi”!
E se fosse la gestazione di una nuova umanità che cresce senza doveri, ma avvertendone la mancanza? Come li colmerà? Sì, ancora una volta è la mancanza di quello che si dava per scontato a contare! Contraddizione, paradosso o ossimoro, ci siamo chiesti. E se fosse, oso dire, un nuovo Rinascimento? E perché non pensarlo?

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