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31 Mar 2021

La coppia ai tempi del COVID

Rosario De Giglio

Rosario De Giglio
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I primi dati sugli effetti della pandemia di Covid-19 cominciano a emergere.

Il Rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile) 2020 presentato dall’Istat il 10 marzo 2021 mette in evidenza, fra l’altro, che in 12 mesi abbiamo perso quasi un anno di vita, con punte di 2,4 anni in meno in Lombardia. E ci sono sempre più anziani in disagio mentale, ma anche giovani donne.
Rispetto al 2019, emergono tendenze differenti in sottogruppi di popolazione.
Peggiora la situazione delle persone di 75 anni e oltre di entrambi i generi, e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L’indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in alcune regioni come Lombardia, Piemonte e Campania che, insieme al Molise, presentano i valori più bassi.
A questi dati allarmanti si possono accostare altri, forse meno pericolosi per la salute, ma altrettanto significativi dell’ampio spettro di effetti che il Covid-19 sta comportando, come quello riferentesi alla riduzione dei matrimoni e delle unioni civili.
Ma pure meno divorzi e meno separazioni!
Nel primo semestre del 2020 nozze e allontanamenti sono crollati.

 

Le relazioni durante il lockdown

 

Per non parlare del lockdown; causa restrizioni, nel secondo trimestre dell’anno addio alle celebrazioni religiose e comunali: l’80% di coppie in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 ha deciso di sposarsi. Calo del 60% anche per unioni civili, separazioni e divorzi.
Il calo riguarda soprattutto le prime nozze. Lo si legge nel report dell’Istat su Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi.
In tempo di Covid i matrimoni diminuiscono (e non solo per il divieto di assembramenti). L’esperienza di reclusione forzata parziale (lockdown), sebbene necessaria, è pur sempre un’imposizione che a medio-lungo termine comporta effetti di vario tipo sull’equilibrio anche dei rapporti umani.
Si evitano a priori relazioni che possono comportare restrizioni alla propria libertà, specie se vincolanti.
Voglio mettere in evidenza questo aspetto: accade sovente di sopravvivere a rapporti problematici proprio con l’allontanamento quotidiano per occupazioni varie! Possibilità preclusa di questi tempi.
In buona sostanza, durante il lockdown si è troppo vicini a quello che vorremmo evitare poiché vissuto con pena e/o stato di sottomissione. L’alterazione coatta delle distanze relazionali modifica l’assetto gerarchico delle relazioni stesse, con ricadute sull’affettività e la sessualità.
Normalmente la lontananza temporanea, e parlo ancora di quella quotidiana, “rinnova” anche il desiderio. Al contrario la vicinanza soffocante lo “deprime”, con conseguente insoddisfazione e colpevolizzazione del partner visto in una nuova luce e ciò può incrinare pericolosamente il rapporto. È come se si voglia evitare prudentemente questi “rischi” giocando in anticipo.
D’altra parte, non si può escludere che alcuni fuochi possano riaccendersi!

 

Se non sopportate più vostro marito in lockdown

 

Bisogna dire che le coppie conviventi sono sottoposte uno stress prolungato. Si sta troppo insieme in casa.
Il Coronavirus ha fatto letteralmente “esplodere” i rapporti, specie quelli di lungo periodo.
L’allarme arriva da ogni parte del pianeta. Il rischio è la rottura. Anche lo smart working non aiuta.
Ciò per cui le coppie litigano in modo particolare è la divisione del lavoro in casa, tra gli impegni professionali e la cura dei bambini. Una sensazione fortemente avvertita dalle donne che in maggioranza hanno denunciato il fenomeno confessando che il proprio partner era sempre meno disponibile e più irritante e nervoso.

 

Il Coronavirus ha messo alla prova i rapporti fragili

 

Come si è già affermato, la convivenza forzata del lockdown ha amplificato i ri-sentimenti nei confronti dei fidanzati o dei coniugi, e in molti casi ha contribuito a scombinare definitivamente equilibri già fragili.
Riuscire a fornire dati esaustivi sul fenomeno non è ancora possibile.
Questa situazione ha fatto esplodere tensioni latenti o ha esasperato situazioni già critiche, portando i partner a considerare di prendere strade diverse.
 In tempo di Coronavirus, d’altronde, la richiesta di separazione, quando avviene, è diventata rapida e online. Questo certo non favorisce una oculata valutazione delle vere motivazioni che stanno alla base della decisione.
In molti casi le richieste di divorzio si sono rivelate decisioni affrettate, seguite da ripensamenti.
 E diverse coppie, dopo avere chiesto e ottenuto l’autorizzazione a sciogliere anche formalmente il legame, hanno deciso di risposarsi mentre il loro certificato di divorzio era ancora in fase di stampa.
Ciò suggerisce che la richiesta di “soluzione del rapporto a due” ha un che di reattivo!
Dato il forte carico di stress emotivo degli ultimi mesi, è bene valutare insieme al partner se si tratti di una crisi dovuta al momento o se, effettivamente, il rapporto è arrivato al capolinea.
Sembra che il fenomeno nasconda un “tentativo di fuga”, il tentativo di “ricostituire le distanze”.
Non è da trascurare neanche la possibilità che il Covid offra l’occasione da cogliere al volo per avanzare propositi separatisti che si meditavano da tempo!

 

In Italia come è andata?

 

Che in Italia manchi una “cultura della separazione” siamo tutti d’accordo. Un gap importante che trascina le famiglie a scontrarsi con numerose difficoltà tra consultori familiari, aule di tribunale e consulenze tecniche d’ufficio e, a quanto pare, la situazione col tempo andrà peggiorando.
Per cui alla reclusione forzata si aggiunge in certi casi l’unione forzata.
Il prezzo da pagare è fatto di tensione, rabbia e litigiosità, fino all’esplosione di violenza.
In linea generale, il decremento dei matrimoni sembra dipendere da alcuni elementi ben definiti che si sono consolidati nel tempo, tra i quali il fatto che il matrimonio oggi è visto più come un contratto sociale che un sacramento, e che le donne, economicamente più indipendenti, possono non vedervi quella che un tempo era la cosiddetta “sistemazione”.
Vengono meno alcune certezze, non vi è più garanzia d’amore, né di famiglia felice, come quella del Mulino bianco. I bambini sono sempre meno!
I numeri ci stanno dicendo che sposarsi non conviene, non serve più a nulla. I figli nati dentro e fuori dal matrimonio ormai sono tutti legittimi allo stesso modo e l’equiparazione tra coppie sposate e coppie di fatto è qualcosa di acquisito. Combattere il cambiamento porta solo danni collaterali, non arresterà la trasformazione lenta ma inesorabile di questa società. Ormai la definizione di “famiglia tradizionale” fatta da madre, padre e figli, si sta trasformando rapidamente: le famiglie oggi sono sempre più formate da coppie non sposate, anche composte da adulti dello stesso sesso e che crescono bambini; da genitori single che lavorano e non hanno il supporto dei nonni e perciò li affidano ad altri per intere giornate; infine da conviventi non sposati e senza figli.
Se da un lato ciò comporta un respiro più ampio nella visione di un’unione e della società, appare evidente la corrosione dei rapporti familiari per come li conosciamo, che apparivano solidi e resistenti alle intemperie esterne, il solido riparo in cui rifugiarsi, senza che si sia ancora costruita un’alternativa valida.

 

Il Covid: la tempesta perfetta per le relazioni di coppia

Improvvisamente, però, la tempesta ha superato le mura di casa e le problematiche affettivo-relazionali si sono drammaticamente acuite.
Le ragioni di tanta fragilità nelle coppie del XXI secolo è da attribuire a diversi fattori legati alla pandemia che si sono riversati nella vita coniugale: come condizioni di quarantena, disoccupazione, tensione finanziaria, morte di persone care, disaccordi sulla genitorialità, discussioni sulle faccende domestiche che hanno fatto esplodere conflitti dormienti e insoddisfazioni radicate.
È stata la tempesta perfetta per le coppie che stavano attraversando una crisi, soprattutto perché essendo costretti a trascorrere più tempo insieme, eventuali meccanismi difensivi delle normali routine, messi in atto per nascondere i disagi relazionali, sono crollati.
Se nella vita pre-pandemica potevano esserci diversi modi per gestire lo stress familiare (incontri con amici al bar, al ristorante, al cinema, ecc.), ora le alternative sono di difficile realizzazione.
 La risposta emotiva della comunità nei confronti di un trauma solitamente si muove in due direzioni, così come quella di un nucleo familiare. Inizialmente si è mossi da un senso di coesione nel periodo immediatamente successivo al disastro (fase attiva), dopo alcune settimane l’energia svanisce e può insorgere la disillusione e la depressione (fase passiva). Si comincia allora a resistere e in questo periodo le coppie iniziano a lottare.
Ma la resistenza offerta dalle coppie italiane è attiva o passiva?
Quello che sta avvenendo ci porta essere sempre più passivi e facilmente soggetti a sirene e sciamani. Questo è il reale pericolo: l’allentamento della rete famiglia-società a favore dell’irrigidimento dei rapporti in genere, nonché di saldature politico-autoritaristiche alla ricerca di “false certezze” e “facili soluzioni”.
La via da seguire non può che essere scientifica, ovvero vaccinica.
È qui che la resistenza diventa attiva. Purché non passi troppo tempo, però!

 

Rosario De Giglio
Rosario De Giglio
Rosario De Giglio, medico-psichiatra-psicoterapeuta (analitico e relazionale), è Responsabile sanitario di Struttura Riabilitativa Psichiatrica, già Dirigente Psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale di Bari e responsabile della digitalizzazione del DSM per il Sistema Informativo della Salute Mentale (S.I.S.M.). Vanta varie esperienze nel campo dell’informazione e della comunicazione.
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