La pandemia di Covid-19 ha costretto molte aziende in Italia e nel mondo a introdurre il lavoro da casa, il cosiddetto “smart working”.
Molti lavoratori e imprenditori hanno sperimentato i suoi pro (per esempio la comodità di evitare il traffico stradale e il risparmio per le aziende in termini di bollette) e contro (per dirne una, la difficoltà nel lavoro in team), ma la vera domanda ora è: fino a quando si continuerà a lavorare da casa?
I numeri dello smart working
Secondo alcune stime, quasi il 40% dei lavoratori dipendenti nell’Unione Europea ha iniziato a lavorare in smart working a tempo pieno per effetto delle restrizioni anti-Coronavirus. Fino al 2019 la percentuale dei lavoratori che utilizzavano regolarmente lo smart working era invece appena del 5%: per la maggior parte si trattava di lavoratori altamente specializzati, come manager e professionisti del settore telecomunicazioni. Inoltre, lo smart working era più diffuso nei Paesi del Nord Europa, con percentuali bassissime nelle nazioni del Sud Europa come l’Italia.
Oggi invece la situazione è ben diversa, e il telelavoro è entrato a far parte delle vite di lavoratori di branche diverse, basti pensare ai dipendenti pubblici o a quella che è stata la didattica a distanza. Si tratta quindi di un cambiamento radicale.
Ma quanto durerà lo smart working?
Alcune grandi aziende come Google hanno già annunciato che i loro dipendenti lavoreranno da casa fino all’estate del 2021, quando – si spera – il pericolo Coronavirus sarà definitivamente scampato. E sembra che sia un trend diffuso.
In effetti, i motivi di convenienza per le aziende sono molteplici: primo tra tutti una riduzione netta dei costi aziendali, ma anche la possibilità di ridimensionare gli spazi fisici destinati agli uffici, limitare le spese di trasferta ed eliminare i buoni pasto o i bonus benzina. Anche dal punto di vista dei dipendenti ci sono molti benefìci, soprattutto per i pendolari e per chi deve sostenere costi di affitto in diverse città per conciliare esigenze personali e lavorative.
Le conseguenze dello smart working
È quindi inevitabile chiedersi come cambierà il mondo del lavoro nel lungo periodo.
Innanzitutto, il lavoro da casa richiede l’acquisizione di un bagaglio di competenze informatiche minime. Un recente rapporto dell’Unione Europea attesta che ben un terzo della forza lavoro europea non possiede le cosiddette “digital skills”, cioè non sa usare un computer in autonomia, né tanto meno software specializzati che agevolerebbero il lavoro da casa e permetterebbero di monitorarlo adeguatamente.
Un altro aspetto fondamentale riguarda infatti le modalità di “controllo” del lavoro tramite appositi software, su cui c’è ampio dibattitto.
Altri aspetti su cui riflettere riguardano di certo gli orari flessibili: in effetti, da questo punto di vista, sarebbe più corretto parlare di remote working (cioè lavoro da remoto) e non smart working (cioè lavoro agile, o letteralmente “intelligente”), che prevede una flessibilità oraria maggiore.
Diversi esperti sottolineano inoltre che un utilizzo su larga scala del lavoro da casa potrebbe cambiare la fisionomia delle nostre città: niente più quartieri dormitorio e palazzoni con solo uffici… oppure no? Dopo la fine della pandemia tornerà tutto esattamente come prima?
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