In un momento di ozio sulla spiaggia, tutti abbiamo giocato a farci scorrere la sabbia tra le dita. Pochi si saranno soffermati a vedere cosa succede alla piccola piramide di sabbia che si forma al suolo. Ogni tanto i fianchi della piramide franano, mantenendo un angolo più o meno costante ma con cedimenti piccoli o grandi ma comunque imprevedibili. Questo è il più semplice esempio di quello che viene definito un sistema a criticità auto-organizzata (secondo la definizione di Per Bak).
In un momento di ozio sulla spiaggia, tutti abbiamo giocato a farci scorrere la sabbia tra le dita. Pochi si saranno soffermati a vedere cosa succede alla piccola piramide di sabbia che si forma al suolo. Ogni tanto i fianchi della piramide franano, mantenendo un angolo più o meno costante ma con cedimenti piccoli o grandi ma comunque imprevedibili. Questo è il più semplice esempio di quello che viene definito un sistema a criticità auto-organizzata (secondo la definizione di Per Bak). Il sistema è governato da leggi semplici (come l’attrito) ma la complessità emerge dalla interazione tra le sue numerose componenti. Questo è uno dei due modi in cui vengono modellati i terremoti. Se così fosse, questo basterebbe a definirli come impredicibili in senso deterministico.
Il ruolo della microsismicità
In un articolo pubblicato su Nature-Scientific Report, il sismologo svizzero Artaud Mignan si interroga se il comportamento a criticità auto-organizzata, dove ogni terremoto può divenire “foreshock” (ossia una scossa preliminare) di un altro, possa coesistere con la visione alternativa di una preparazione tettonica dell’evento principale che renderebbe i terremoti, almeno in teoria, possibili da prevedere. Analizzando quasi quaranta sequenze in cui sono stati riconosciuti (ovviamente a posteriori) dei ”foreshock”, Mignan conclude che ”una deviazione dal normale comportamento della sismicità può essere osservata solo quando è considerata la microsismicità. Questi risultati sono da prendere con cautela dato che non tutti i 37 studi mostrano lo stesso livello di affidabilità. Queste osservazioni dovrebbero tuttavia incoraggiare nuove ricerche sulla prevedibilità dei terremoti con un focus sul ruolo potenziale della microsismicità”.
I microterremoti e il sisma dell’Aquila
Recentemente un gruppo di autori italiani e giapponesi ha pubblicato un lavoro riguardante il terremoto dell’Aquila. Utilizzando delle particolari tecniche in grado di estrarre dal rumore sismico di fondo i segnali di microterremoti che sarebbero andati altrimenti persi, i ricercatori hanno individuato una concentrazione di piccole scosse nelle vicinanze di quello che sarebbe diventato l’epicentro del terremoto del 6 aprile 2009. Il risultato è potenzialmente interessante, ma non bisogna dimenticare che si tratta di uno studio fatto per spiegare un terremoto già accaduto. Perché si possa parlare di prevedibilità dei terremoti bisogna avere due condizioni: 1) poter effettivamente prevedere l’evoluzione di una sequenza durante il suo svolgimento e non a posteriori, 2) rendere queste complesse tecniche di analisi compatibili con un esame in tempo reale dei segnali sismici. Al momento gli studi in corso hanno dimostrato che esiste almeno la seconda di queste condizioni.
