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18 Dic 2018

Miele: il suo DNA è un tesoro di informazioni

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Dentro un cucchiaino di miele si nasconde un mondo intero. I ricercatori dell’Università di Bologna avevano già pubblicato su Nature-Scientific reports, qualche mese fa, i primi risultati del loro lavoro che mostravano le molteplici potenzialità dell’analisi del DNA ambientale del prodotto delle api. Grazie a questo metodo innovativo, gli studiosi sono riusciti a isolare tracce non solo di piante e di api, ma anche di altri insetti, di diverse tipologie di funghi, e persino di virus e batteri. Una fotografia ampia e precisa della storia di quel miele, dal fiore fino all’alveare, e del vasto ambiente in cui è nato.

Dentro un cucchiaino di miele si nasconde un mondo intero. I ricercatori dell’Università di Bologna avevano già pubblicato su Nature-Scientific reports, qualche mese fa, i primi risultati del loro lavoro che mostravano le molteplici potenzialità dell’analisi del DNA ambientale del prodotto delle api. Grazie a questo metodo innovativo, gli studiosi sono riusciti a isolare tracce non solo di piante e di api, ma anche di altri insetti, di diverse tipologie di funghi, e persino di virus e batteri. Una fotografia ampia e precisa della storia di quel miele, dal fiore fino all’alveare, e del vasto ambiente in cui è nato.

 

Proseguono gli studi su api e DNA

 

Il nuovo lavoro del gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna – presentato in un articolo sulla rivista PLoS ONE – dimostra come, utilizzando una metodologia bioinformatica appositamente progettata, sia possibile estrarre dal DNA del miele importanti informazioni che permettono, ad esempio, di valutare lo stato di salute delle colonie di api, o anche di monitorare la presenza dei microrganismi responsabili di molte malattie delle piante.
Per produrre il miele, le api compiono un metodico e capillare lavoro di esplorazione del territorio lungo un raggio che, partendo dall’alveare, può estendersi fino a dieci chilometri. Nel corso dei loro innumerevoli viaggi, raccogliendo nettare o melata dai fiori e dalle piante, finiscono per catturare anche tracce di molti altri organismi che abitano quel territorio. Per questo motivo il DNA contenuto nel miele è considerato un “DNA ambientale”, che contiene cioè al suo interno le impronte dei tanti protagonisti che in un modo o nell’altro vengono toccati dall’opera delle api. Questo patrimonio di informazioni è, però, estremamente ricco e complesso: ricostruirlo, isolando le singole tracce presenti e individuando gli organismi a cui si riferiscono, non è affatto semplice. Per riuscirci è necessario mettere in campo tecnologie avanzate di analisi genetica, adattandole a un contesto così particolare come quello del miele.

 

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L’applicazione della bioinformatica

 

Per riuscire a decifrare il complesso patrimonio genetico contenuto nel miele, i ricercatori hanno utilizzato un metodo innovativo, basato su tecnologie di next generation sequencing che permettono di sequenziare in parallelo milioni di frammenti di DNA. L’obiettivo era arrivare a identificare tracce appartenenti a organismi di tutti i regni biologici che, direttamente o indirettamente, fanno parte del processo che porta alla produzione del miele: dal nettare dei fiori fino alla maturazione nei favi. “Per il nostro studio – ha spiegato Samuele Bovo, tra gli autori dell’articolo su PLoS ONE – abbiamo messo a punto un sistema di analisi che comprende una metodologia bioinformatica costruita ad hoc per attribuire ai rispettivi organismi le centinaia di migliaia di sequenze ottenute dall’analisi. In questo modo siamo stati in grado di tradurre le informazioni presenti nelle sequenze di DNA attribuendole di volta in volta alle singole specie di appartenenza”.

 

Dal monitoraggio ambientale al controllo della filiera del miele

 

Ma quali tracce hanno trovato i ricercatori nel corso della loro analisi? Tante, ovviamente, sono quelle che derivano dal polline dei fiori e quelle lasciate dalle api che hanno raccolto il nettare, e molte appartengono anche agli insetti produttori di melata, altro ingrediente fondamentale per la nascita del miele. Più difficili da immaginare sono, invece, le tracce della varroa – il principale parassita che attacca le api, capace di vivere dentro le colonie, muovendosi tra i favi – così come quelle di diversi altri invertebrati che possono creare problemi alle colture agrarie. Gli autori dell’articolo, inoltre, hanno individuato anche segni di funghi, batteri e virus che possono essere spesso presenti attorno o all’interno dell’alveare e causare, in certi casi, malattie delle piante o delle api. Queste sono tutte informazioni che possono rivelarsi molto utili su più fronti. “Le tante tracce di DNA che abbiamo trovato possono essere lette e analizzate per scopi diversi”, ha illustrato Luca Fontanesi, docente dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “Quelle delle piante, ad esempio, ci permettono di definire l’origine botanica del miele e quindi anche la sua origine geografica: un modo per certificarne la provenienza ed evitare possibili frodi”.
Ma i dati raccolti sono utili anche per controllare lo stato di salute di chi il miele lo produce: le api. “Le tracce di DNA appartenenti a parassiti e patogeni delle api – ha proseguito Fontanesi – sono molto importanti per valutare lo stato sanitario degli apiari. Una notevole percentuale delle sequenze che abbiamo individuato, ad esempio, sono state inaspettatamente assegnate ad un virus, non ancora ben studiato, che colpisce le api”. E c’è anche il tema dei microrganismi potenzialmente dannosi per le piante: “L’analisi del DNA ambientale ci permette di monitorare la loro presenza e diffusione – ha confermato Fontanesi – con risvolti importanti per i sistemi di sorveglianza fitosanitaria e di valutazione epidemiologica delle malattie delle piante”.
Non è da dimenticare, infine, che il miele è anche un alimento con molte proprietà benefiche: nel suo DNA ci sono tracce anche di questo. “Alcuni microrganismi che lasciano tracce nel miele contribuiscono alla formazione delle sue caratteristiche organolettiche e alle proprietà curative che vengono attribuite a questo alimento”, ha concluso Luca Fontanesi. “Alcuni lieviti di cui abbiamo trovato traccia nel miele analizzato, ad esempio, sono considerati produttori naturali di sostanze a effetto antibiotico”.

 

Se vi il mondo delle api vi incuriosisce e vi piacerebbe conoscerne altri aspetti, potreste acquistare e leggere l’articolo di Francesco Pennacchio e Francesco Nazzi, “Stress, immunità e salute delle api”, pubblicato nel numero di giugno 2015 di Sapere.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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