La vita in laboratorio presenta ogni giorno numerosi ostacoli da superare per ottenere il massimo da campioni e strumenti che si hanno a disposizione. Come per tanti altri mestieri, però, il confronto con professionisti di altre discipline può portare a soluzioni innovative o a inaspettate serendipità. È questo il caso dell’applicazione della diffrazione elettronica 3D, tecnica impiegata da anni nell’ambito delle scienze dei materiali, ora “prestata” all’analisi di farmaci.
La vita in laboratorio presenta ogni giorno numerosi ostacoli da superare per ottenere il massimo da campioni e strumenti che si hanno a disposizione. Come per tanti altri mestieri, però, il confronto con professionisti di altre discipline può portare a soluzioni innovative o a inaspettate serendipità. È questo il caso dell’applicazione della diffrazione elettronica 3D, tecnica impiegata da anni nell’ambito delle scienze dei materiali, ora “prestata” all’analisi di farmaci.
Un po’ di storia dell’analisi di cristalli
In principio fu la cristallografia a raggi X, una tecnica della cristallografia – disciplina che studia i cristalli, legata alla mineralogia – in cui l’immagine prodotta dalla diffrazione dei raggi X attraverso lo spazio del reticolo atomico in un cristallo viene registrata e analizzata per rivelare il materiale e la struttura molecolare di una sostanza. Un cristallo è un solido costituito da atomi, molecole o ioni aventi una disposizione geometricamente regolare, che si ripete indefinitamente nelle tre dimensioni spaziali, detta reticolo cristallino. Il fenomeno della diffrazione dei raggi X – causato dall’interazione della materia con radiazioni X, aventi lunghezza d’onda paragonabile alle distanze interatomiche presenti nel cristallo – permette agli scienziati di definire le strutture dei materiali cristallini su una scala atomica e, conseguentemente, di ricostruire le relazioni tra struttura e proprietà chimico-fisiche del campione esaminato. Per quanto riguarda la chimica organica e l’analisi di farmaci, il protocollo prevedeva che fosse analizzato un cristallo prodotto dalle molecole oggetto di studio. Crescere un singolo cristallo delle caratteristiche e dimensioni adatte a una diffrazione di raggi X che dia risultati spendibili non è semplice e richiede settimane, se non mesi di lavoro. Inoltre, alcune molecole cristallizzano faticosamente, rendendo questa tecnica inutilizzabile. A un certo punto l’alternativa è stata sostituire i raggi X con un fascio di elettroni, i quali possono dare origine a figure di diffrazione anche su cristalli più piccoli. Un articolo pubblicato su Nature racconta che i cristallografi della Johannes Gutenberg University di Magonza (Germania) e della Stockholm University, rispettivamente nel 2007 e nel 2008, hanno sviluppato il primo metodo per indagare la struttura 3D di molecole, automaticamente, adoperando la diffrazione elettronica.
La “nuova” tecnica applicata in chimica organica
In un primo momento gli scienziati hanno dovuto affrontare un lavoro minuzioso di unione di più figure di diffrazione 2D per ricostruire la struttura tridimensionale dei campioni studiati. Inizialmente questo metodo è stato applicato nel campo dei materiali inorganici, che non sono modificati dalle radiazioni così come lo possono essere quelli organici. La novità giunse nel 2013, quando Tamir Gonen, biologo strutturale presso la UCLA (University of California, Los Angeles) sviluppò una versione della diffrazione elettronica chiamata MicroED, applicabile a biomolecole grandi come le proteine. Ora, in due articoli, il gruppo di ricerca di Gonen e altri studiosi hanno dimostrato di poter operare anche su strutture di molecole più piccole. Nel primo articolo, pubblicato il 16 ottobre 2018 su Angewandte Chemie International Edition, un gruppo di scienziati guidato dal cristallografo Tim Grüne del Paul Scherrer Institute, in Svizzera, ha riportato la realizzazione di un prototipo di dispositivo per ricercare la struttura di molecole di dimensioni ridotte adoperando il fascio di un microscopio elettronico e un rivelatore compatibile. I diffrattogrammi – le figure di diffrazione ottenute – sono analizzabili con lo stesso software adoperato per la cristallografia a raggi X. Questo strumento è stato poi messo alla prova per trovare la struttura del paracetamolo da minuti – lunghi solo pochi micrometri – cristalli formati dalla polvere che è conservata all’interno delle pillole. Nel secondo articolo, lo stesso Gonen ha adattato la tecnica MicroED su strutture molecolari di dimensioni ridotte quali polveri di farmaci come la carbamazepina, un anticonvulsivante, e il più conosciuto ibuprofene: questi cristalli misuravano 100 nanometri di lunghezza, un miliardo di volte più piccoli in volume di quelli adoperati comunemente per la cristallografia a raggi X – e l’analisi è durata meno di 30 minuti.
Difficoltà, vantaggi e sviluppi futuri
Un bel balzo in avanti rispetto alla crescita dei cristalli e ai mesi di indagini, un progresso raggiunto grazie alla comunicazione tra specialisti di discipline diverse, tra cristallografi e chimici organici.
La diffrazione elettronica 3D, però, presenta ancora alcuni limiti. Ad esempio, le strutture 3D di alcune molecole appaiono come immagini speculari. Le molecole che sono l’una l’immagine speculare dell’altra sono dette chirali e possono avere effetti chimici differenti: un esempio celebre è quello del talidomide, per cui uno degli enantiomeri agisce da sedativo mentre l’altro è tossico e può provocare malformazioni del feto in donne in stato di gravidanza. La differenziazione di tali strutture richiederà ulteriori modifiche dei software di analisi come, in generale, saranno necessari nuovi prodotti dal punto di vista dell’hardware. Quali future applicazioni per questa tecnica? Sicuramente sarà efficace per lo sviluppo di farmaci ma potrebbe mostrarsi fondamentale anche nelle scienze forensi, per una veloce identificazione di determinate sostanze.
Potete continuare a perdervi nella magia delle strutture cristalline acquistando e leggendo l’articolo di Sandra Lucente, “Il matematico nell’irrazionale regno dei cristalli”, pubblicato nel numero di Sapere di dicembre 2017.