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19 Set 2018

È possibile che un robot possa utilizzare la teoria della mente?

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Siamo in un ascensore e, mentre le porte si stanno chiudendo, scorgiamo una coppia che si sta dirigendo con una certa fretta verso di noi. Ancora prima che ci chiedano di bloccare la chiusura per permettergli di salire, sappiamo che desiderano farlo. Questo è un comportamento istintivo – definito teoria della mente – per ora inimmaginabile per una intelligenza artificiale. Un approfondimento pubblicato recentemente su Scientific American ci apre le porte di una nuova sperimentazione la cui direzione è la creazione di IA con abilità sociali predittive che permetteranno una migliore interazione con le persone.

Siamo in un ascensore e, mentre le porte si stanno chiudendo, scorgiamo una coppia che si sta dirigendo con una certa fretta verso di noi. Ancora prima che ci chiedano di bloccare la chiusura per permettergli di salire, sappiamo che desiderano farlo. Questo è un comportamento istintivo – definito teoria della mente – per ora inimmaginabile per una intelligenza artificiale. Un approfondimento pubblicato recentemente su Scientific American ci apre le porte di una nuova sperimentazione la cui direzione è la creazione di IA con abilità sociali predittive che permetteranno una migliore interazione con le persone.

 

Sentirsi nei panni degli altri

 

Cos’è la teoria della mente? È la capacità di intuire o comprendere gli stati mentali propri e altrui, i pensieri, le credenze, i ragionamenti, le inferenze, le emozioni, le intenzioni e i bisogni sulla base dell’osservazione del comportamento e del contesto e dell’inferenza di significato. Il sistema di inferenze che possediamo ci dà la possibilità di dare significato e prevedere un comportamento. Volendo sintetizzare questo concetto, diremmo che la teoria della mente è ciò che ci permette di “metterci nei panni degli altri”.
Purtroppo esistono casi in cui questo meccanismo non si sviluppa: uno dei processi psicologici implicati nei disturbi dello spettro autistico è un deficit relativo a questa abilità.

 

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Una simulazione della teoria della mente

 

Alan Winfield, professore di etica della robotica della University of West England, a Bristol, ha intenzione di avvicinare il comportamento dei robot a quello umano attraverso una “simulazione della teoria della mente”: un approccio all’intelligenza artificiale che permetta ai robot di simulare, internamente e in anticipo, bisogni e azioni di persone, oggetti o altri robot e di usare i risultati (insieme con istruzioni pre-programmate) per calcolare una risposta adeguata. In un articolo pubblicato all’inizio del 2018, Winfield e i suoi colleghi hanno descritto un esperimento in cui un robot è stato progettato per muoversi lungo un corridoio in modo più sicuro (ossia senza urtare nulla), dopo avergli fornito l’abilità di predire i movimenti più probabili degli altri robot nelle vicinanze. Questa non è una nuova capacità per un robot ma, in questo caso, le macchine hanno simulato le conseguenze delle loro strategie per evitare gli urti per assicurarsi di procedere nella maniera più opportuna.

 

Robot capaci di anticipare bisogni e intenzioni
 

Uno dei potenziali vantaggi della simulazione della teoria della mente è sicuramente il miglioramento della comunicazione tra robot e umani, un fattore rilevante se pensiamo all’introduzione di queste macchine in ambito sanitario o nella cura degli anziani. Un paziente a cui viene spiegato il perché di un’azione si sente più protetto. Anticipare le proprie intenzioni è importante nei suddetti contesti e un robot che non esegue semplicemente un comando ma ne spiega le ragioni e le conseguenze farebbe la differenza.
È per questo che Alan Winfield, dopo aver costruito macchine che portano avanti azioni semplici determinate da simulazioni interne, sta passando alla fase successiva: fornire ai robot l’abilità di descrivere oralmente le azioni future o passate. Un buon test è svolto da un robot che senta le intenzioni di un altro robot esposte verbalmente e le interpreti simulandole. In un processo di questo tipo una delle macchine dovrebbe descrivere l’azione – ad esempio “Sto per tenere aperte le porte dell’ascensore” – e l’altra, sentita l’informazione, la dovrebbe simulare internamente e infine compiere l’azione (mantenere le porte dell’ascensore aperte).
Se i robot riuscissero a capirsi seguendo questo schema, sarebbero un passo più vicini a un’interazione più complessa con noi esseri umani.

 

Cos’è la robotica evolutiva? Potrete approfondire questo argomento acquistando e leggendo l’articolo di Maurizio Garbati, “Darwin, selezione naturale e robotica evolutiva”, pubblicato sul numero di giugno 2015 di Sapere.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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