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12 Mag 2021

C’è vita su Marte?

Marco Sergio Erculiani

Marco Sergio Erculiani
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Da sempre gli scienziati si sono arrovellati sulla possibilità della presenza di vita su Marte. Le ultime missioni sul Pianeta rosso, come la recente Perseverance, hanno fra gli obiettivi proprio questa indagine.
Il Pianeta rosso è infatti il più analizzato dal punto di vista astrobiologico. La recente scoperta di metano e di acqua sulla sua superficie lo colloca, assieme al satellite gioviano Europa, fra i migliori candidati a ospitare vita extraterrestre.

 

Come sono fatte le meteoriti marziane?

Un recente studio pubblicato sulla rivista Astrobiology ha analizzato la composizione chimica delle meteoriti marziane, determinando che quelle rocce, se in costante contatto con l’acqua, avrebbero prodotto l’energia chimica necessaria per sostenere comunità microbiche simili a quelle che sopravvivono nelle profondità non illuminate della Terra. Tali campioni potrebbero inoltre essere rappresentativi di vaste fasce della crosta marziana. Questo è particolarmente vero per le brecce regolitiche – meteoriti provenienti da rocce crostali di oltre 3,6 miliardi di anni – che hanno il più alto potenziale di supporto alla vita.
La ricerca ci suggerisce che, per estensione, gran parte del sottosuolo di Marte potrebbe essere o essere stato abitabile. Se è vero che nel sottosuolo di Marte c’è acqua, ci sono buone probabilità che esista una chimica adatta a supportare la vita microbica del sottosuolo. È vero, non si sa se la vita ci sia stata o non sia proprio mai iniziata sotto la superficie di Marte, ma ci sarebbe un’ampia energia lì sotto per sostenerla, spiegano gli autori.

 

La vita sotto la superficie

Ricerche precedenti hanno trovato prove di un sistema di acque sotterranee attive su Marte in passato e c’è motivo di credere che le acque sotterranee esistano ancora oggi. Un recente studio, ad esempio, ha sollevato la possibilità di un lago sotterraneo in agguato sotto la calotta glaciale meridionale del pianeta.

 

figura 1
Marte e la vita nel sottosuolo.

D’altronde anche nelle profondità della Terra c’è un vasto bioma che esiste in gran parte separato e indisturbato dal mondo di sopra. Come un’altra civiltà, differente nella forma e nelle abitudini. Dal momento che manca la luce solare, queste creature sopravvivono usando i sottoprodotti delle reazioni chimiche prodotte dall’interazione fra le rocce e l’acqua.
Una di queste reazioni è la radiolisi: un processo in cui gli elementi radioattivi all’interno delle rocce reagiscono con l’acqua che è intrappolata nei pori, spezzando le molecole d’acqua nei loro elementi costitutivi, idrogeno e ossigeno; l’idrogeno liberato viene sciolto nelle acque sotterranee, mentre i minerali come la pirite assorbono l’ossigeno libero per formare minerali solfati. I microbi possono ingerire l’idrogeno disciolto come combustibile e utilizzare l’ossigeno conservato nei solfati per “bruciare” quel combustibile.
Sulla Terra questi organismi sono stati trovati in luoghi come la miniera canadese di Kidd Creek, a più di un miglio sottoterra, in acque che non vedono la luce da più di un miliardo di anni. A differenza della Terra, Marte non ha un sistema di tettonica a placche che ricicla costantemente le rocce crostali e quindi gli antichi terreni rimangono in gran parte indisturbati per miliardi di anni.
Se è vero che esistono forme di vita su Marte, la domanda che si profila all’orizzonte è come le forme di vita abbiano raggiunto il pianeta: la vita ha avuto origine sulla Terra e su Marte in modo indipendente oppure ha avuto origine su Marte o sulla Terra e ha trovato la sua strada verso l’altro pianeta? O ancora, ha avuto origine lontano da questi pianeti ed è approdata al Sistema Solare come affermato nella teoria della panspermia? Per ora non c’è una risposta unica a queste domande poiché mancano ancora gli elementi per poter far chiara luce sulla vita nell’Universo.

 

Immagine di copertina: copyright NASA/JPL-Caltech

 

Marco Sergio Erculiani
Marco Sergio Erculiani
Marco Sergio Erculiani è laureato in Astronomia presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia di Padova e ha conseguito il dottorato in Scienze, Tecnologie e Misurazioni Spaziali presso il CISAS, con una tesi sulla simulazione in laboratorio di ambienti esoplanetari per la ricerca dei segnali di vita al di fuori del nostro Sistema Solare. Autore per numerose riviste scientifiche e blog, si occupa da sempre di divulgazione, e collabora a Bologna con l’Istituto Nazionale di Astrofisica dove supporta il gruppo SETI Italia nella ricerca di biomarker e costruzione di strumentazione tecnologica.
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