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09 Mar 2017

Il più grande telescopio dell’Universo: il lensing gravitazionale

Giuseppe Longo

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Immaginate cosa potreste fare con un telescopio lungo miliardi di chilometri e delle dimensioni di una galassia. La sola idea sembra inconcepibile, eppure già da alcuni decenni gli astronomi fanno uso di strumenti simili per esplorare i confini estremi dell’Universo, per scoprire piccoli oggetti orbitanti attorno a stella lontane e per cercare di misurare le più importanti costanti cosmologiche. Si tratta, delle cosiddette “lenti gravitazionali” uno dei fenomeni più intriganti del cosmo, che fu previsto teoricamente da Albert Einstein nel 1916 come una conseguenza diretta della Teoria della Relatività Generale.

Immaginate cosa potreste fare con un telescopio lungo miliardi di chilometri e delle dimensioni di una galassia. La sola idea sembra inconcepibile, eppure già da alcuni decenni gli astronomi fanno uso di strumenti simili per esplorare i confini estremi dell’Universo, per scoprire piccoli oggetti orbitanti attorno a stella lontane e per cercare di misurare le più importanti costanti cosmologiche. Si tratta, delle cosiddette “lenti gravitazionali” uno dei fenomeni più intriganti del cosmo, che fu previsto teoricamente da Albert Einstein nel 1916 come una conseguenza diretta della Teoria della Relatività Generale.

 

Le lenti gravitazionali e la cosmologia moderna

Secondo Einstein, la presenza di una massa deforma la struttura dello spazio-tempo e provoca la deflessione dei raggi di luce che passano nelle vicinanze, in modo del tutto analogo a come una lente devia i raggi luminosi provenienti da un oggetto lontano e li fa convergere nel fuoco.

 

L’effetto predetto da Einstein fu osservato per la prima volta nel 1919 quando il fisico inglese Arthur Eddington, approfittando di un’eclisse totale del Sole, misurò la posizione di alcune stelle che per ragioni prospettiche si trovavano molto vicine al bordo del Sole. Con sorpresa di molti, le stelle apparvero spostate di una quantità piccola ma perfettamente compatibile con quella prevista dalla nuova teoria. La massa del Sole aveva causato la deflessione dei raggi luminosi emessi dalle stelle modificandone la posizione apparente. Ci volle poco per capire che quello osservato da Eddington era solo l’aspetto meno eclatante di questa distorsione gravitazionale e che, a tutti gli effetti, il fenomeno poteva essere utilizzato per sondare le profondità cosmiche con un’accuratezza mai immaginata prima. La misura segnò il tramonto definitivo della fisica della gravitazione newtoniana e aprì le porte alla moderna cosmologia.

 

 

Per capire come funziona quello che oggi è noto come “lensing gravitazionale”, basta quardare la figura e notare che  – per esempio – i raggi luminosi 1 e 2 emessi dalla sorgente in direzioni diverse vengono entrambi deviati e fatti convergere verso l’osservatore terrestre che, quindi, non vedrà più la sorgente nella sua posizione iniziale (che si trova dietro la grande massa interposta) bensì due immagini identiche spostate in due direzioni diverse. Con un piccolo sforzo è facile capire che lo stesso è vero per tutti i raggi che fuoriescono dalla sorgente e che, quindi, in un caso ideale, al posto della sorgente si vedrà un anello luminoso. Un vero e proprio miraggio.

Ovviamente, perché quest’ultimo caso si verifichi, la sorgente, la massa e l’osservatore debbono essere perfettamente allineati, altrimenti si avrà solo la formazione di immagini multiple. Fantascienza? No di certo, dato che oggi si conoscono alcune centinaia di esempi di lenti gravitazionali di cui nella figura sotto si può vedere un esempio.

In questa foto, l’ “anello di Einstein”. La galassia centrale (il batuffolo giallastro al centro dell’anello) distorce il percorso dei raggi luminosi provenienti da un’altra galassia che si trova quasi perfettamente dietro di lei, ma ad una distanza molto più grande.

 

Vedere gli oggetti “invisibili”

Il lensing ha però molti altri e ben più importanti aspetti. In alcuni casi, infatti, l’immagine della sorgente viene amplificata dalla convergenza dei raggi luminosi causata dalla lente gravitazionale e ciò, in pratica, consente di vedere oggetti che, in assenza della lente gravitazionale, a causa della loro grande distanza, sarebbero stati troppo deboli per essere rivelati. In questo caso, la massa interposta agisce a tutti gli effetti come la lente di un gigantesco telescopio cosmico che consente di vedere oggetti altrimenti invisibili. E’ stato così che sono state scoperte alcune delle galassie più distanti fino ad oggi osservate.

In altri casi, il passaggio di un oggetto anche piccolo come una stella, produce un’amplificazione appena misurabile del segnale dando origine ad un fenomeno che, per l’appunto, viene detto di “microlensing”. Questa tecnica oltre a essere stata usata per studiare la presenza di oggetti massicci nell’alone della nostra galassia e di quella di Andromeda, è stata anche usata per rivelare la presenza di sistemi planetari.

 

L’appuntamento del 2028

Ed è proprio di questi giorni la notizia che, nel 2028 la stella Alpha Centauri e la stella S5 si troveranno perfettamente allineate rispetto ad un osservatore posto sulla Terra. L’allineamento durerà fino al 2050 e offrirà un’opportunità unica per studiare i dintorni delle due stelle alla ricerca di fenomeni di microlensing causati da eventuali pianeti. Non è cosa da poco, se si tiene presente che il sistema di Alpha Centauri è anche il sistema più vicino al nostro pianeta e che, quindi, è anche quello che, almeno in teoria, potrebbe essere tra i primi obbiettivi di eventuali viaggi interstellari.

Giuseppe Longo
Giuseppe Longo
Ordinario di Astrofisica dell’Università Federico II di Napoli, associato al California Institute of Technology, all’Istituto Nazionale di Astrofisica e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nonché membro dell’Accademia Pontaniana, più antica accademia scientifica del mondo. Ha prodotto oltre 300 pubblicazioni scientifiche (più della metà su riviste internazionali) e da oltre un ventennio si occupa di divulgazione scientifica. I suoi interessi di ricerca riguardano la cosmologia osservativa e l’analisi automatica con tecniche di intelligenza artificiale dei dati prodotti dagli strumenti astronomici.
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