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22 Ago 2016

L’Uomo e la Luna – parte II

Giuseppe Longo

Giuseppe Longo
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La seconda, e ultima, parte del primo di una serie di articoli – di varia ispirazione – che tratteranno della Luna, sia nei suoi aspetti storico-mitologici che in quelli più prettamente scientifici. La prima parte si può leggere qui

La seconda, e ultima, parte del primo di una serie di articoli – di varia ispirazione – che tratteranno della Luna, sia nei suoi aspetti storico-mitologici che in quelli più prettamente scientifici. La prima parte si può leggere qui

 

Le credenze religiose dei popoli neolitici in epoche antecedenti alla’invasione degli Ariani, erano basate sul culto di una dea madre dai molti nomi, venerata dal Nord Europa alla Libia ed alla Siria. Di quest’epoca remota rimangono poche tracce archeologiche e le versioni più e più volte rimaneggiate di antichi miti, ma sembra quasi certo che quest’unica grande dea era considerata immortale, immutabile e onnipotente e il concetto di paternità, forse non ancora attribuito all’uomo, non era di certo presente nelle concezioni religiose. La Grande Dea si sceglieva un compagno non per la riproduzione ma per il suo piacere. A giudicare da reperti trovati in siti molto lontani tra di loro quali, per esempio, Emera in Grecia e Grainne in Irlanda, la grande dea aveva il suo simbolo principale nella Luna e, a volte, trovava una rappresentazione secondaria nel Sole. Le tre fasi della sua vita: ninfa, nubile e vegliarda, erano riflesse nelle tre fasi lunari, crescente, piena e calante, ed in altre triadi quali ad esempio i mutamenti stagionali che definivano tre stagioni (primavera, estate e inverno). 

 

La chimera

Col tempo, questi tre diversi aspetti della dea vennero identificati con tre divinità diverse, Selene, la vergine dell’aria, Afrodite, la ninfa della Terra ed Ecate, la vegliarda del mondo sotterraneo. In alcuni culti, però, non si dimenticò mai che questi tre aspetti erano solo manifestazioni di un’unica divinità. Per esempio, ancora in epoca classica, il santuario di Stinfalo in Arcadia, celebrava tutte e tre le dee sotto l’unico nome di Era.

Come fa notare Nilsson, di questa cosmologia trina resta traccia nell’aggettivo chimerico che spesso si associa ai miti più antichi. La chimera, infatti, era descritta da Omero come un animale composito, con la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente. Una rappresentazione ittita, scolpita sui muri del tempio di Carchemisc, mostra il suo collegamento con il calendario, con ognuna delle sue parti simboleggiante una delle tre sacre stagioni.

 

L’ombelico

Quando il rapporto tra coito è maternità fu finalmente assodato, il ruolo della Grande Dea diminuì lentamente di importanza mentre crebbe quello delle divinità maschili. Fu un mutamento epocale che portò a profondi riflessi sull’organizzazione sociale. Secondo ciò che ci è pervenuto, la matriarca sceglieva ogni anno un amante-re che alla fine dell’anno veniva sacrificato ed il cui sangue era sparso sui campi per assicurarne la fertilità. Con il tempo, quest’usanza fu modificata e il re, identificato con il Sole, prese a essere sacrificato a metà estate, quando la forza dei raggi luminosi iniziava a declinare. Il suo posto era spesso preso da un suo gemello o supposto tale che era a sua volta sacrificato a metà inverno per reincarnarsi in un serpente oracolare. Questi re-fuchi, per esercitare il potere esecutivo e parlare in nome della regina dovevano indossarne le vesti. A lungo, quindi, i regni rimasero sotto la tutela della Dea Luna. Il tempo fu diviso in base alle lunazioni e tutte le cerimonie più importanti presero a essere celebrate in corrispondenza di determinate fasi lunari.

Le matriarche erano temute, riverite e obbedite ciecamente . Molto probabilmente, il centro sociale di ciascuna tribù era il focolare che la matriarca alimentava e sorvegliava in una grotta o in una capanna. Di ciò rimane traccia nei più antichi miti e rituali greci. La prima vittima di un sacrificio pubblico era sempre offerta a Estia del focolare. L’omphalos o ombelico, è un cerchio bianco che, forse, rappresentava in origine il bianco cumulo di cenere di questo focolare.

 

L’eclisse lunare

Ogni tanto, con modalità che almeno inizialmente dovevano risultare del tutto imprevedibili, la Luna spariva inghiottita da un’eclisse. E’ difficile immedesimarsi in un uomo del neolitico per cercare di capire quali possano essere state le sue reazioni. La dea madre improvvisamente diveniva di un colore rosso cupo e la sua luce si indeboliva sin quasi a sparire del tutto e il ciclo della natura si interrompeva bruscamente per poi riprendere.
Prima del XXX millennio a.C., analizzando centinaia o di anni d’osservazioni, gli astronomi si accorsero del fatto che le eclissi (o in altre parole le posizioni relative di Sole Terra e Luna) si ripetevano ciclicamente secondo un periodo di circa 19 anni. A questo periodo fu dato il nome di Grande anno e la sua scoperta segnò un profondo cambiamento nella struttura sociale. Forse, fu proprio questa scoperta a favorire il passaggio dai regimi matriarcali a quelli patriarcali in quanto il ciclo di vita del re venne fatto coincidere con il Grande Anno e di qui alla monarchia a vita il passo fu breve.

Giuseppe Longo
Giuseppe Longo
Ordinario di Astrofisica dell’Università Federico II di Napoli, associato al California Institute of Technology, all’Istituto Nazionale di Astrofisica e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nonché membro dell’Accademia Pontaniana, più antica accademia scientifica del mondo. Ha prodotto oltre 300 pubblicazioni scientifiche (più della metà su riviste internazionali) e da oltre un ventennio si occupa di divulgazione scientifica. I suoi interessi di ricerca riguardano la cosmologia osservativa e l’analisi automatica con tecniche di intelligenza artificiale dei dati prodotti dagli strumenti astronomici.
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