Sono gli anni ’80 e uno spettro si aggira per l’Italia. E’ il SAX – Satellite per Astronomia X, la prima missione scientifica nazionale, progetto ambizioso e controverso che giungerà sulla rampa di lancio solo nel 1996 rivelandosi, nonostante i ritardi e le polemiche, un successo clamoroso.
Sono gli anni ’80 e uno spettro si aggira per l’Italia. E’ il SAX – Satellite per Astronomia X, la prima missione scientifica nazionale, progetto ambizioso e controverso che giungerà sulla rampa di lancio solo nel 1996 rivelandosi, nonostante i ritardi e le polemiche, un successo clamoroso. Rimarrà in orbita per sei anni, ben oltre la vita operativa nominale rivoluzionando l’astrofisica delle alte energie. A BeppoSAX, come venne ribattezzato il satellite in onore di Giuseppe Occhialini – figura di spicco della fisica spaziale – l’Agenzia Spaziale Italiana ha dedicato una giornata per celebrarne il duraturo successo a vent’anni dal lancio.
Comunità scientifica, industria e rappresentanti dell’ASI hanno ripercorso la storia di come si sia riusciti a costruire e operare uno strumento così raffinato, in grado non solo di esplorare il cielo delle alte energie in maniera comprensiva e coordinata (come non verrà più fatto, fino ai nostri giorni) ma dotato anche di una capacità di reazione rapida, essenziale per cogliere gli improvvisi mutamenti (i transienti) di quell’Universo violento che la possibilità di osservare dallo spazio ci ha svelato in tutta la sua drammaticità. Esemplare in questo senso è il contributo fondamentale dato alla scoperta della natura dei lampi gamma (GRB – Gamma Ray Burst) e che varrà al team di BeppoSAX il prestigioso premio Bruno Rossi.
Da dove vengono i lampi gamma?
Per molto tempo ci si era interrogati sulle intense esplosioni di raggi gamma, le radiazioni elettromagnetiche più energetiche dell’Universo, che si erano rivelati ai primi sensori inviati nello spazio. Il dibattito scientifico ruotava attorno alla loro origine: si trattava di eventi che avvenivano relativamente vicino, all’interno della nostra galassia, oppure di fenomeni provenienti dalle profondità dell’Universo e quindi di intensità enormemente maggiore? Il problema è che i lampi gamma appaiono improvvisamente e altrettanto rapidamente scompaiono: per riuscire a capire da dove vengano bisogna individuare con grande precisione la loro posizione in cielo per poter passare la mano ai grandi telescopi terrestri allo scopo di cogliere sul fatto il colpevole (la controparte ottica). Il tutto nel giro di poche ore, prima che il lampo si spenga del tutto.
Per capire le difficoltà che si sono dovute affrontare basti pensare che BeppoSAX era visibile dalla stazione di terra solo per 10 minuti ogni ora e mezzo – tanto durava il suo periodo orbitale. Ma a meno di un anno dal lancio grazie alla eccellente progettazione del satellite e a un impeccabile centro di controllo a terra, si riusciva per la prima volta a identificare la sorgente di un GRB con una galassia lontana. Questo ha fatto innalzare la stima delle energie in gioco fino a renderle seconde solo al Big Bang, chiamando in causa il collasso di una stella supermassiccia.
Il rientro dei cervelli
Tra i tanti meriti di BeppoSAX ci sono anche l’aver fatto rivivere il Centro Spaziale di Malindi (fazzoletto di terra italiana in Kenya) cui era affidato il compito di tenere i contatti radio con il satellite, e di aver creato il nucleo attorno al quale si è poi sviluppato l’odierno Centro Dati Scientifici (ASDC) dell’ASI. Ma soprattutto BeppoSAX ha dato a una generazione di laureati in discipline scientifiche un ampio sbocco lavorativo non limitato al solo ambito della ricerca. Perché al di là della facile retorica del Belpaese sulla fuga dei cervelli (e sul loro rientro che, ancorché facilitato, non è affatto facile) sono solo i progetti come questo che possono riportare in Italia chi ha imparato qualcosa all’estero.
[Immagine: Credits the Italian Space Agency (ASI) e BeppoSAX Science Data Center (SDC)]