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01 Giu 2021

Pneumatici da Gran Premio: la fisica della moto

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Le moto da Gran Premio raggiungono, in curva, inclinazioni vertiginose, tali da far toccare terra al ginocchio del pilota. Quali meccanismi fisici sono implicati nel meccanismo?

 

Velocità e inclinazione

Si osservi lo schema mostrato nella figura qui sotto di una moto nel pieno della curva: l’angolo di inclinazione dalla verticale al suolo appare vicino ai 60 gradi. Tale angolo corrisponde all’equilibrio tra le forze agenti sul corpo in movimento: il peso, applicato nel centro di massa del sistema uomo-macchina, e la forza centrifuga che il mezzo sperimenta a causa dell’accelerazione centripeta inerente alla traiettoria incurvata. La risultante di queste due forze (freccia nera in grassetto in figura) rappresenta la forza con cui la moto preme sul terreno. Affinché il veicolo stia in equilibrio, occorre che il prolungamento di tale risultante passi per il punto di appoggio degli pneumatici sul terreno – per inciso, c’è chi preferisce dire “dei pneumatici” –, altrimenti la moto sbanderebbe da una o dall’altra parte. Quindi, più alta è la velocità, maggiore sarà l’inclinazione.

 

1. Inclinazione moto

 

 

 

L’effetto della forza d’attrito

Per il principio di azione e reazione, la forza di reazione del terreno (freccia rossa) è eguale e contraria alla risultante delle forze agenti. Scomponiamo adesso la forza prodotta dal terreno in una componente perpendicolare al suolo (freccia verde) e in una parallela al suolo (freccia blu). La prima è la forza vincolare, eguale e contraria al peso: essa impedisce alla moto di affondare nella pista. La seconda, eguale e contraria alla forza centrifuga, è la forza di attrito radente: essa garantisce che la moto stia sulla traiettoria senza slittare.
L’origine di questa forza adesiva è l’attrazione tra le molecole superficiali degli pneumatici e quelle del fondo stradale. Essa dipende soltanto dal peso che preme sul suolo e dalle proprietà dei materiali a contatto, gomma e asfalto, ma è circa indipendente dall’estensione dell’area di contatto tra essi (a molti, questa fondamentale proprietà meccanica apparirà poco credibile). La forza d’attrito è direttamente proporzionale al peso attraverso un fattore di proporzionalità  che si chiama coefficiente di attrito radente statico (trasversalmente alla traiettoria non c’è movimento).
Dobbiamo presumere che, trattandosi di piloti ai vertici mondiali, l’inclinazione raggiunta sia molto prossima al cosiddetto “angolo critico”, ossia al massimo angolo possibile senza che si abbia slittamento. La geometria in figura mostra che tale angolo è legato al coefficiente di attrito  dalla relazione

 

μ = Forza d’attrito/Reazione vincolare = tga

 

dove “tg” è la tangente trigonometrica dell’angolo a. Se il raggio R di curvatura della traiettoria è pari a 50 m e l’accelerazione di gravità g vale 9,8 m/s2, per un angolo d’inclinazione a = 60° si calcola tga = 1,73 e dalla formula meccanica v = (g R tg60°)1/2 = 105 km/h. Si noti che v non dipende dalla massa del veicolo, ma solo dal coefficiente d’attrito μ e dal raggio della curva R, quindi in linea di principio la velocità massima, a parità di pneumatici, è la stessa per qualsiasi moto, dalla 125 alla 500 alla superbike! Però, viaggiando ai limiti di tenuta, basta una qualsiasi alterazione del terreno – sporcizia, olio, avvallamenti – per avere slittamento. E, naturalmente, conta la potenza del motore.

 

Peculiarità degli pneumatici

Quanto detto vale soltanto se il coefficiente di attrito è molto elevato. Il normale coefficiente di attrito statico per un oggetto appoggiato su un tavolo, come un libro, è alquanto sotto il nostro valore μ = 1,73: la gomma, si sa, offre un maggiore attrito, soprattutto se la sua composizione chimica (la mescola) è tale da renderla morbida e cedevole, così da garantirle un’intima adesione al suolo. La contropartita è che il consumo è più rapido, il che spiega la necessità di gomme larghe, specie nelle moto più grosse. Giova ripetere che una maggiore sezione delle gomme non influisce sull’entità della forza d’attrito, serve solo ad aumentare la durata degli pneumatici e la stabilità del veicolo.

 

2 attrito 

 

Una grande sezione presenta tuttavia un inconveniente: la crescita dell’attrito volvente o attrito di rotolamento degli pneumatici. Lo schema nella figura qui sopra illustra come si deforma lo pneumatico per effetto del rotolamento. In ogni istante, c’è sempre un punto dove la gomma subisce una compressione (A in figura), e uno dove avviene l’opposto (B). A causa degli attriti interni della gomma, questo periodico comprimersi e dilatarsi produce un riscaldamento. Ciò si ripercuote in modi diversi sul funzionamento degli pneumatici, alterandone il consumo, la tenuta, la resistenza all’avanzamento, ecc. Si capisce bene perché, nei Gran Premi, la scelta delle gomme sia di capitale importanza. Infatti, questo meccanismo di riscaldamento della gomma per effetto degli attriti meccanici interni tra le particelle suggerisce che la temperatura degli pneumatici in gara svolga un ruolo cruciale.

 

Come evitare l’aquaplaning

Altri aspetti di interesse sono la sagomatura del battistrada e l’eventuale presenza di scolpiture. La massima aderenza al suolo si ha per gomme lisce, perché il contatto gomma-asfalto risulta più intimo. E allora perché non adottarle sempre? Il problema è l’aquaplaning, ossia lo slittamento sul bagnato. Il fenomeno avviene quando, a causa dell’acqua sulla carreggiata, il coefficiente di attrito al suolo si riduce drasticamente.
Se la velocità della moto è elevata, agli pneumatici non è dato il tempo di espellere l’acqua, la quale si accumula contro la parte frontale della gomma e/o rimane intrappolata sotto di essa. Allora la gomma scivola sull’acqua come fanno i mezzi di navigazione quando vanno in planata. Oltre che con l’elevata velocità, l’effetto si aggrava quanto più aumenta la larghezza dello pneumatico e quanto più è corta la zona di contatto con il suolo, quindi è peggiore nelle ruote di piccolo diametro. Sul bagnato, perciò, uno pneumatico liscio diventa micidiale: ecco la necessità di scolpiture che consentano lo scorrimento dell’acqua verso la sua periferia.

 

Andrea Frova
Andrea Frova
Andrea Frova, nato a Venezia, già Ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ha fatto ricerca nel campo della luce e delle proprietà ottiche dei semiconduttori. È autore di molte pubblicazioni scientifiche nelle maggiori riviste internazionali. Ha anche scritto testi di divulgazione, saggi musicologici e libri di narrativa. Ha vinto il "Premio Galileo per la divulgazione scientifica" nel 2008 con Se l'uomo avesse le ali (Rizzoli-BUR), e il "Premio Città di Como" con il saggio storico-scientifico Newton & Co. - Geni bastardi (Carocci 2015). Il suo ultimo libro è Il signore della luce. Gli incredibili esperimenti del professor Michelson (Carocci, 2020).
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