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30 Apr 2020

Burnout: gli effetti della pandemia di Coronavirus sugli operatori sanitari

Alessandra Cervinara

Alessandra Cervinara
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L’11 marzo 2020 il direttore generale dell’OMS ha definito la diffusione del Covid-19 non più una epidemia confinata ad alcune zone geografiche, ma una pandemia diffusa in tutto il pianeta. Prendersi cura dei pazienti in un contesto come questo è un’esperienza potenzialmente traumatica, espone medici e operatori sanitari ad essere travolti da un’ondata di sofferenza e stress.

 

Coronavirus e operatori sanitari: uno stress psichico e fisico

L’aumento esponenziale dell’assistenza sanitaria ha richiesto nelle ultime settimane uno sforzo fisico e psichico a tutto il personale medico e paramedico: doppi turni, riorganizzazione dei reparti, allontanamento dalle proprie famiglie – spesso necessario per evitare contaminazioni – e, non per ultimo, l’adattamento ai DPI (dispositivi di protezione individuale), che oltre a lasciare traccia sul viso, possono causare disagio fisico e difficoltà respiratorie.
Nella recente letteratura sono stati osservati elevati livelli di stress, ansia, depressione nella popolazione generale.
La vulnerabilità alla sofferenza psicologica aumenta quando ci confrontiamo con chi è in prima linea: shock, collera, senso di colpa, tristezza, impotenza, dissociazione, confusione, preoccupazioni, pensieri ossessivi e immagini intrusive sono le principali reazioni, emotive e cognitive, che si stanno registrando negli operatori sanitari nelle ultime settimane. A queste si aggiungono lamentele somatiche, insonnia e iperattivazione.
Gli esiti, a breve e nel lungo termine, che potrebbero presentarsi, oltre a stress, ansia e depressione, sono la sindrome da burnout, la compassion fatigue e il Post Traumatic Stress Disorder (PTSD).

 

Il burnout: un esaurimento emotivo

Cristine Maslach definisce il burnout come un eccessivo coinvolgimento emotivo caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione professionale, che può insorgere negli operatori che lavorano a contatto con le persone. Questo processo lento e graduale può manifestarsi in diversi ambiti lavorativi dove viene riscontrata una scarsa qualità della vita professionale, una cattiva gestione e una reiterata disorganizzazione. Tutto questo genera così una totale perdita d’interesse nelle persone a cui dover prestare cura. Inoltre, comporta per il lavoratore risentimento, insonnia, stanchezza, negativismo e isolamento sociale.
In questi ultimi mesi i medici si sono dovuti confrontare non solo con la malattia e la morte o con i propri timori di autoinoculazione o di trasmissione ai propri cari del virus, ma hanno dovuto anche costantemente fronteggiare un’altra difficoltà: comunicare la perdita dei pazienti alle famiglie. La buona prassi costruita negli anni sull’importanza della comunicazione efficace, in questo difficile momento storico, diventa estremamente complessa e dolorosa.
Gli operatori sanitari diventano i caregiver di riferimento dei pazienti. Il supporto familiare viene meno a causa della sospensione degli accessi nei reparti. La mancanza di protocolli e di terapie specifiche, il peso delle decisioni, l’impotenza e la frustrazione diventano il terreno fertile su cui cresce la compassion fatigue, descritta da Figley come il “costo della cura” nelle professioni di aiuto colpite da gravi malattie o traumi.
L’esposizione prolungata alla sofferenza e alla morte può portare, dunque, a una fatica compassionevole, a un disagio emotivo producendo un profondo esaurimento fisico ed emotivo. Proprio come un “disco rotto”, dove la puntina del grammofono cade sempre nello stesso solco e la melodia si incanta, così l’operatore sanitario potrebbe sviluppare la sindrome del burnout.

 

Coronavirus: ci causerà un disturbo post-traumatico da stress?

Un ultimo scenario, non solo per i sopravvissuti ma anche per medici e infermieri, è lo stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder – PTSD), una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche, provocando persistenti e ricorrenti ricordi spiacevoli e generando sofferenza e compromissione della vita quotidiana. I sintomi possono insorgere immediatamente dopo il trauma o anche a distanza di molto tempo con esordio tardivo e la sua durata può variare da un mese alla cronicità (secondo l’American Psychiatric Association).
Per fronteggiare e prevenire le conseguenze di questa emergenza sanitaria appare perciò ormai ineludibile la creazione in tempi record, come già verificatosi in molti ospedali, di uno sportello psicologico per supportare e sostenere psicologicamente chi, come medici, paramedici e personale sanitario, è in prima linea per cercare di fronteggiare la pandemia da Coronavirus.

Alessandra Cervinara
Alessandra Cervinara
Laureatasi in Psicologia Clinica e della Salute nel 2010 presso l’Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”, si è specializzata in Psicoterapia Cognitiva nel 2016, presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC. Ha un Master in "Psicodiagnostica e Valutazione Psicologica”. Svolge dal 2012 attività privata e le sue principali aree di interesse sono: età evolutiva, genitorialità, disturbi d’ansia e disturbi dell’umore, separazione e lutto. Dal 2016 è Psicologa a progetto presso U.O. “Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale” del Policlinico di Bari. È Socio Corrispondente SITCC (Società Italiana Terapia Comportamentale e Cognitiva).
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