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07 Set 2015

Alla ricerca del pigmento perduto: perché studiare la materia di cui sono fatti i sogni?

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Uno degli aspetti più affascinanti dello studio dei materiali utilizzati nell’arte, passata e presente, è sicuramente l’analisi dei pigmenti. I colori sono una parte integrante di tutti gli aspetti della vita di un essere umano e la loro percezione, legata a fisiologia e psicologia, scatena inevitabilmente il nostro interesse. La storia dei pigmenti adoperati dalle origini ai giorni nostri è un viaggio suggestivo attraverso luoghi lontani, tradizioni, progresso delle società, dell’economia e soprattutto della tecnologia. Ma a cosa serve conoscere i colori di un’opera d’arte?

 

Uno degli aspetti più affascinanti dello studio dei materiali utilizzati nell’arte, passata e presente, è sicuramente l’analisi dei pigmenti. I colori sono una parte integrante di tutti gli aspetti della vita di un essere umano e la loro percezione, legata a fisiologia e psicologia, scatena inevitabilmente il nostro interesse. La storia dei pigmenti adoperati dalle origini ai giorni nostri è un viaggio suggestivo attraverso luoghi lontani, tradizioni, progresso delle società, dell’economia e soprattutto della tecnologia. Ma a cosa serve conoscere i colori di un’opera d’arte?

 

Prima di tutto cerchiamo di essere più precisi, infatti i termini colore, pigmento e colorante non sono sinonimi. Mentre il sostantivo colore si riferisce alla sensazione fisiologica che proviamo quando guardiamo una radiazione avente differenti lunghezze d’onda, pigmenti e coloranti sono le vere e proprie sostanze che, grazie all’interazione con la luce, ci permettono di “vedere” il colore. I primi sono solitamente costituiti da polveri fini, colorate, insolubili nel legante, grazie al quale formano un impasto che, anche se steso in uno strato sottile, si mostra coprente. Gli altri sono sostanze trasparenti, solubili, capaci di conferire il proprio colore ad altri materiali a loro volta non colorati (un esempio sono le tinture per le stoffe).

 

I pigmenti antichi sono per lo più costituiti da minerali e rocce appositamente polverizzati e mescolati con altri ingredienti a seconda della tecnica artistica e della ricetta usata in una specifica bottega d’artista. Con l’avvento della Rivoluzione industriale la sintesi chimica dei colori ha sconvolto il mondo dell’arte grazie ai costi minori, alle prestazioni in alcuni casi migliori – resistenza alla luce e compatibilità con numerosi supporti – e alle nuove formulazioni che hanno permesso di trasportare i colori in comodi tubetti (di questo beneficiarono in primis gli Impressionisti).

 

A cosa serve l’identificazione di un pigmento mediante tecniche analitiche? Prima di tutto, nell’ambito del restauro, è fondamentale conoscere la composizione delle numerose parti di un manufatto per poter poi lavorare con materiali compatibili. Ad esempio, il bianco di piombo, un carbonato, è compatibile nelle tecniche ad olio mentre, in quelle a base acquosa, sarà sensibile a pigmenti contenenti solfuri che potrebbero trasformarlo in solfuro di piombo, nero. Nell’analisi del degrado, sapere quale sia il pigmento che è stato adoperato, può aiutarci a capire le cause di un fenomeno di alterazione: sempre il bianco di piombo ha tendenza a scurire per azione dell’acido solfidrico che può essere presente nell’aria, trasformandosi in solfuro di piombo, e può ossidarsi trasformandosi in ossido di piombo marrone negli affreschi o in presenza di umidità.

 

Inoltre i pigmenti possono essere buoni indicatori temporali per eventuali valutazioni di autenticità di un’opera. Le sostanze colorate che ritroviamo nelle opere pittoriche hanno un’epoca di inizio utilizzo. Per quanto riguarda soprattutto le terre – le ocre – il termine post quem si perde nella lontana Preistoria, invece per molti altri esistono, almeno dal XII secolo in poi, documentazioni storiche ed evidenze analitiche su dipinti di epoca certa che permettono di fissare le date del loro primo impiego. L’analisi dei pigmenti a partire da queste conoscenze può escludere che un artista abbia dipinto una determinata opera provando che i materiali utilizzati non erano disponibili quando il manufatto è stato creato. Ad esempio, una tela contenente un viola Mauve – sintetizzato per la prima volta nel XVII secolo – non potrà sicuramente avere come autore Raffaello Sanzio, vissuto tra il XV ed il XVI secolo.

 

Post lungo, vero? Il nostro percorso nel mondo dei pigmenti è solo all’inizio. Alla prossima!

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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