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08 Apr 2019

Archeometria in mostra al Museo Egizio di Torino

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Senza di lei non saremmo riusciti a decifrare gli enigmi del nostro passato, a conoscere la nostra evoluzione, la nostra storia. Con il suo aiuto gli oggetti hanno acquisito una voce sempre più limpida e trasparente e ci hanno raccontato quello che siamo stati, spesso suggerendoci quello che diverremo. È l’archeometria, che lascia il retroscena di uno dei musei italiani più famosi per passare alle luci della ribalta, con “Archeologia Invisibile”: una mostra temporanea realizzata dal Museo Egizio di Torino, aperta ai visitatori dal 13 marzo 2019 al 6 gennaio 2020.

Senza di lei non saremmo riusciti a decifrare gli enigmi del nostro passato, a conoscere la nostra evoluzione, la nostra storia. Con il suo aiuto gli oggetti hanno acquisito una voce sempre più limpida e trasparente e ci hanno raccontato quello che siamo stati, spesso suggerendoci quello che diverremo. È l’archeometria, che lascia il retroscena di uno dei musei italiani più famosi per passare alle luci della ribalta, con “Archeologia Invisibile”: una mostra temporanea realizzata dal Museo Egizio di Torino, aperta ai visitatori dal 13 marzo 2019 al 6 gennaio 2020.

 

Cos’è l’archeometria? Definita dall’Enciclopedia Treccani come “ambito di studi interdisciplinare che indaga i dati materiali del passato alla luce degli strumenti e dei metodi propri delle discipline scientifiche“, è quell’insieme di tecniche adottate per studiare i reperti ritrovati in scavi archeologici o conservati in collezioni pubbliche e private. Si esaminano materiali, metodi di produzione, la storia di eventuali restauri e vicende riguardanti la conservazione.

 

“Archeologia Invisibile”, grazie a un percorso diviso in tre parti, guida il pubblico in un territorio da sempre esplorato da archeologi e scienziati: quello che parte dallo scavo e dalla sua documentazione, al restauro e conservazione, passando proprio per le analisi diagnostiche, metodi scientifici e nuove tecnologie che donano nuovamente voce a manufatti preziosi o a oggetti della quotidianità. In questa sezione il pubblico ammirerà il lavoro svolto sul corredo funerario della Tomba di Kha, 460 pezzi giunti più di un secolo fa a Torino e sottoposti ad approfonditi esami solo di recente. Le tomografie neutroniche hanno svelato il contenuto dei sette vasi in alabastro, recipienti per custodire gli oli sacri impiegati per l’imbalsamazione, mentre le indagini multispettrali hanno curiosato nella chimica dei pigmenti dell’Antico Egitto.

 

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L’archeologia è anche studio di corpi, in qualche modo violazione della sfera personale di esseri umani il cui rapporto con la vita si è man mano affievolito con il trascorrere dei secoli, da persone in carne e ossa, con legami, sentimenti, un ruolo nella società, a resti organici scampati alla disgregazione. Le mummie di Kha e della sua sposa Merit hanno manifestato la loro duplice natura – di un uomo e una donna provenienti da un passato lontanissimo e di oggetti appartenenti a una collezione museale – mediante le analisi radiografiche e le TAC, che hanno privato virtualmente delle bende i due corpi di 3400 anni, svelandone gli ornamenti indossati per il loro viaggio nell’aldilà, quali bracciali, collane, orecchini e uno scarabeo del cuore, un amuleto funerario.

 

L’archeometria influenza anche i metodi espositivi. La mostra, infatti, si chiude con una installazione in video mapping. È la proiezione su un modello 3D in scala 1:1 del sarcofago dello scriba reale Butehamon, la versione digitale dell’originale esposto in sala. Un tassello in più da inserire in una nuova narrazione della biografia del sarcofago, dalla sua costruzione alla sua musealizzazione, dalla sua prima decorazione al suo restauro.

 

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Finalmente l’archeometria è diventata protagonista ed è spiegata al grande pubblico, che spesso ignora il ruolo fondamentale della scienza nei musei, traduttrice del linguaggio parlato da ciò che ci rimane del passato. Come recita un breve brano dell’audioguida dell’esposizione, realizzata dalla Scuola Holden di Torino: “Gli oggetti sono come fari che si affacciano sulle scogliere dell’oceano del tempo. Essi disegnano il profilo della costa e ricevono in risposta segnali dalle grandi navi che attraversano il mare. Su quelle navi ci siamo noi, a studiare le luci che provengono da terre in cui non potremo mai approdare”.

 

Immagine di copertina: sarcofago a forma di gatto con mummia con la sua radiografia. Resti organici, lino e legno; datazione e provenienza incerte. Collezione Drovetti 1824. C. 2362 Credits: Museo Egizio, Torino

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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