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16 Lug 2018

Dogs of America

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Quando archeologia e genetica si uniscono, i risultati possono aprire una finestra sul passato e darci una visione chiara di dinamiche che altrimenti sarebbero difficilmente comprensibili. È successo questo nello studio che ha coinvolto numerosi enti, università e musei (tra cui il Natural History Museum di Londra) e che aveva come obiettivo la ricostruzione della storia dei primi cani vissuti in America.

Quando archeologia e genetica si uniscono, i risultati possono aprire una finestra sul passato e darci una visione chiara di dinamiche che altrimenti sarebbero difficilmente comprensibili. È successo questo nello studio che ha coinvolto numerosi enti, università e musei (tra cui il Natural History Museum di Londra) e che aveva come obiettivo la ricostruzione della storia dei primi cani vissuti in America.

 

Perché affrontare una ricerca così complessa? I cani presenti in America non sono lupi del Nord America addomesticati ma animali che avevano seguito i loro amici umani attraverso il ponte continentale che, in passato, univa l’Asia settentrionale e le Americhe. Gli scienziati hanno, quindi, analizzato i DNA dei resti di cani rinvenuti in diversi siti archeologici per capirne la provenienza, il periodo storico di arrivo nel territorio americano e i rapporti intrecciati con le altre popolazioni di cani in giro per il mondo. Proprio per l’estrema vicinanza tra cani e uomini, queste informazioni costituiscono anche un prezioso indizio per comprendere le migrazioni umane nelle aree analizzate.

 

Per studiare l’origine dei cani americani sono stati sequenziati 71 genomi mitocondriali e 7 genomi nucleari ricavati dalle spoglie di animali del Nord America e della Siberia, appartenenti a scavi datati in un intervallo di tempo di circa 9000 anni. Quale differenza esiste tra un genoma mitocondriale e uno nucleare? Il primo contiene solo informazioni relative alla madre dell’organismo analizzato perché il mitocondrio, insieme con il suo DNA, passa solo di madre in figlio; il genoma nucleare racchiude il patrimonio genetico di entrambi i genitori.

 

Cani d'America

 

Una sepoltura rituale di due cani in un sito archeologico dell’Illinois, vicino a St. Louis. Credits: Photo courtesy Illinois State Archaeological Survey, Prairie Research Institute

 

Gli studiosi, grazie a queste analisi, hanno dimostrato che ci sono state quattro ondate migratorie di cani (e dei loro padroni) nell’intervallo di tempo preso in considerazione. I primi arrivi risalirebbero a un periodo compreso tra 17.500 e 13.000 anni fa: siamo nel Paleolitico e cacciatori-raccoglitori della Siberia giungono in America con i loro fedeli compagni che li trasportano con slitte, li proteggono e procurano loro cibo e calore. La seconda ondata, circa 1000 anni fa, ha portato i cani dell’Artico in Alaska, Canada settentrionale e Groenlandia, sono gli antenati degli Alaskan malamute, degli Alaskan husky e dei Groenlandesi. Con la scoperta dell’America, nel 1492, è il turno degli europei e dei loro fedeli amici e infine, nel XIX secolo, durante la corsa all’oro del Klondike, vennero introdotti i Siberian husky.

 

Cosa è rimasto dei primi cani di più di 10.000 anni fa? Quella popolazione è stata completamente sostituita da quelle più recenti. Gli attuali cani americani hanno tutti origini euroasiatiche e solo pochi esemplari di cani artici continuano a sopravvivere, di cui i più antichi lignaggi sono rappresentati dagli husky, dall’Alaskan malamut e dai cani groenlandesi. Come è potuto accadere? Potrebbe essere stata la preferenza dei colonizzatori per un certo tipo di razze o un evento più catastrofico associato ai conquistatori, come ha affermato per esempio Laurent Frantz, lettore presso la Queen Mary University, ricercatore per la University of Oxford e autore dell’articolo che descrive la ricerca, pubblicato su Science.

 

Eppure una piccola parte di quegli antichi cani è sopravvissuta. La traccia genetica giunta sino a noi risiede in una forma estremamente contagiosa di tumore: è il CTVT (Canine Transmissible Venereal Tumor) che si diffonde tra cani attraverso il trasferimento di cellule cancerose durante l’accoppiamento. Questa patologia potrebbe aver avuto origine in un individuo siberiano, una parente vicino degli antichi cani americani, e da lì essersi diffuso in tutto il mondo; in alternativa, potrebbe essersi manifestata in un cane americano, essersi estesa nel territorio siberiano e oltre i sui confini, e quindi essere rientrata in America negli ultimi 500 anni. Quest’ultima è l’ipotesi avvallata dagli autori della pubblicazione, in quanto nel CTVT è stata ritrovata una piccola porzione del genoma del coyote, canide presente solo nel Nord America.

 

In ogni caso, di quelle antiche razze canine che per prime hanno colonizzato l’America ormai non resta più nulla. Nulla hanno potuto contro la potenza dei più recenti colonizzatori, affiancati dalle nuove e dilaganti malattie che essi stessi hanno importato.

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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