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21 Set 2015

L’importanza di essere portatile: la diffrattometria a raggi X e la pittura rupestre

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Ci eravamo lasciati con la diffrattometria a raggi X, manciate di cristallografia e un pizzico di fisica. Ora finalmente approdiamo nella confortante – non sempre – spiaggia dell’applicazione. Visiteremo e analizzeremo con una strumentazione XRD portatile la Grotta di Rouffignac per capire quali pigmenti siano stati utilizzati per le sue pitture rupestri e il perché è importante saperlo.

 

Fonte: www.dordogne-perigord-tourisme.fr Particolare delle pitture rupestri conservate nella Grotta di Rouffignac, in Francia

 

Ci eravamo lasciati con la diffrattometria a raggi X, manciate di cristallografia e un pizzico di fisica. Ora finalmente approdiamo nella confortante – non sempre – spiaggia dell’applicazione. Visiteremo e analizzeremo con una strumentazione XRD portatile la Grotta di Rouffignac per capire quali pigmenti siano stati utilizzati per le sue pitture rupestri e il perché è importante saperlo.

 

Lo studio dell’arte preistorica gioca un ruolo di rilievo nella conoscenza dell’evoluzione umana: per quanto riguarda la ricerca sui pigmenti, incrociando gli studi di matrice umanistica a quelli strettamente scientifici, è possibile comprendere il comportamento degli esseri umani del passato e in particolare la strategia di approvvigionamento dei materiali pittorici così come le modalità di produzione di manufatti artistici. Per conoscere a fondo il mondo della pittura preistorica è necessario indagare la composizione chimica ma anche la struttura dei pigmenti e, quindi, i minerali adoperati.

 

Un caso di studio molto interessante da questo punto di vista è descritto in un articolo del 2014, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Talanta, intitolato “First use of portable system coupling X-ray diffraction and X- ray fluorescence for in-situ analysis of prehistoric rock art”, scritto dai ricercatori Beck, Rousselière, Castaing, Duran, Lebon, Moignard e Plassard. Un primo esempio di utilizzo di un’attrezzatura portatile in un ambiente difficile: spesso accedere a una grotta è un’impresa ardua, è possibile che manchi l’alimentazione elettrica ed è problematica l’installazione della strumentazione in prossimità delle figure disegnate su una superficie estremamente irregolare. Fortunatamente, per la Grotta di Rouffignac, non è stato così essendo attrezzata per visite guidate, possedendo quindi la possibilità di raggiungere facilmente i luoghi d’interesse e di essere rifornita di corrente elettrica.

 

Perché studiare la Grotta di Rouffignac? Questa grotta preistorica risale a circa 13000 anni fa – Paleolitico superiore -, si trova nel sud-est della Francia, in Dordogna, proprio come Lascaux, e le sue pareti sono decorate da più di 200 rappresentazioni di animali. Le pitture rupestri presenti sono costituite da incisioni e da disegni dai contorni neri di uno strato sottile di pigmento. Due settori della grotta sono stati scelti per l’analisi: la stanza del “Grande soffitto” e la galleria “Henri Breuil”. Questi due siti raccolgono disegni che rappresentano ben cinque specie di animali: cavalli, bisonti, stambecchi, rinoceronti lanosi e mammut.

 

Il sistema portatile ha messo insieme l’analisi XRD con la fluorescenza a raggi X, tecnica di cui prometto di parlarvi nel prossimo post, che permette di sapere quali elementi chimici e in quale quantità sono presenti nel nostro campione. Questo apparato è stata sviluppato inizialmente per indagini su opere d’arte conservate in musei, per collezioni, e per chiese o edifici storici, proprio per la difficoltà nel mantenimento delle condizione necessarie per effettuare una serie di misurazioni valide.
Cosa hanno scoperto i ricercatori riguardo le pitture rupestri della Grotta di Rouffignac? Sono stati ritrovati due composti dell’ossido di manganese in tre differenti preparazioni per il pigmento nero: pirolusite pura (MnO2), romanechite pura (Ba2Mn5O10) e un misto delle due. Inoltre il quarzo (SiO2) è sistematicamente associato agli ossidi di manganese, suggerendo che quel determinato pigmento sia stato naturalmente composto di quarzo e nero manganese.

 

 

pirolusite romanechite

 

Fonte: commons.wikimedia.org e www.rruff.info. Campioni macroscopici di pirolusite e romanechite

 

I pigmenti neri usati per le pitture durante il periodo preistorico sono comunemente prodotti dalla combustione (ad esempio di ossa o di vegetali) o si trovano in natura come gli ossidi e ossidrossidi di manganese. Quelli contenenti carbone sono interessanti in quanto permettono la datazione diretta di disegni e pitture mediante la tecnica del Carbonio-14. Gli ossidi di manganese sono a loro volta portatori d’ informazioni utili per la loro natura e microstruttura: ci danno indicazioni sulla provenienza del sito di rifornimento del materiale e, pertanto, forniscono indizi su differenti aspetti del comportamento umano in un determinato luogo e periodo storico. Nel nostro caso la differente composizione del pigmento dimostra che la grotta non è stata dipinta tutta in uno stesso atto artistico e/o da una stessa mano.

 

Il nostro breve viaggio in Francia termina qui. La settimana prossima torneremo in laboratorio per scoprire la fluorescenza a raggi X. Noi, però, ci vedremo un po’ prima per parlare della Notte Europea dei Ricercatori! A presto.

 

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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