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12 Set 2016

La fine di Lucy. Storia di un australopiteco

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Look for the girl with the sun in her eyes / And she’s gone/ Lucy in the sky with diamonds. Le note della celebre canzone dei Beatles risuonavano nelle notti etiopi del 1974. Un team di ricercatori trascorreva i momenti di riposo parlando e ascoltando musica, non sapendo che prestissimo si sarebbero trovati davanti a una grande scoperta. Un osso di un braccio, un altro frammento e un altro ancora. Erano i resti di una femmina di australopiteco, vissuta 3,2 milioni di anni fa, un fossile quasi completo di ominide che gli studiosi decisero di soprannominare proprio Lucy, in omaggio al brano dei Fab 4. A 42 anni da questo straordinario ritrovamento, nuova luce è stata fatta sulle cause della sua morte.

 

Ricostruzione iperrealistica di Lucy. Fonte: www.independent.co.uk

 

Look for the girl with the sun in her eyes / And she’s gone/ Lucy in the sky with diamonds. Le note della celebre canzone dei Beatles risuonavano nelle notti etiopi del 1974. Un team di ricercatori trascorreva i momenti di riposo parlando e ascoltando musica, non sapendo che prestissimo si sarebbero trovati davanti a una grande scoperta. Un osso di un braccio, un altro frammento e un altro ancora. Erano i resti di una femmina di australopiteco, vissuta 3,2 milioni di anni fa, un fossile quasi completo di ominide che gli studiosi decisero di soprannominare proprio Lucy, in omaggio al brano dei Fab 4. A 42 anni da questo straordinario ritrovamento, nuova luce è stata fatta sulle cause della sua morte.

 

Lucy australopiteco scheletro

Lo scheletro di Lucy (in grigio la ricostruzione, in marrone le parti realmente ritrovate). Fonte: elucy.org

 

Lucy è un Australopithecus afarensis, una delle specie di ominidi meglio conosciuta e che ha vissuto più a lungo sul nostro pianeta, più di 900.000 anni. Un rinvenimento così completo come quello di Lucy diede accesso agli scienziati a dati fondamentali per la comprensione della sua vita ma anche, in generale, dell’evoluzione dell’Uomo. Infatti gli australopitechi mantenevano caratteristiche comuni alle scimmie e a quelli che poi sarebbero stati gli uomini: si erano adattati a vivere sia sugli alberi sia sulla terraferma, riuscendo a sopravvivere per quasi un milione di anni mentre clima e ambiente stavano mutando. È proprio questa la chiave per capire perché le cause della morte di Lucy siano così importanti.

 

Confronto_australopiteco_scimpanzé_uomo

Confronto tra scheletri di australopiteco, di scimpanzé e di uomo. Fonte: elucy.org

 

 

Qual è stata la fine di Lucy? Un gruppo di paleoantropologi dell’Università del Texas (Austin, USA) ha analizzato i resti di Lucy mediante Tomografia Assiale Computerizzata, da noi meglio conosciuta come TAC (tecnica di cui vi avevamo parlato anche qui). Per l’esattezza lo strumento adoperato è stato l’High-Resolution X-Ray Computed Tomography Facility, in grado di analizzare, ad alta risoluzione, materiali della densità delle rocce e che quindi può essere d’aiuto anche con le ossa fossilizzate di Lucy.

 

Le analisi hanno mostrato che le fratture analizzate sarebbero confrontabili con quelle di pazienti di oggi che hanno subito una caduta da un’altezza considerevole. Un indizio in più lo fornisce la ricostruzione del paleoambiente dell’Hadar, la regione dove fu ritrovata Lucy: una distesa erbosa con alberi alti, sui quali presumibilmente il nostro australopiteco si rifugiava o cercava cibo, proprio come fanno ancora gli scimpanzé. L’evoluzione, però, stava giocando un brutto scherzo all’australopiteco. Pur riuscendo ancora ad arrampicarsi e a muoversi facilmente sugli alberi, la sua maestria in questo esercizio pian piano stava diminuendo, perché si stava specializzando sempre di più negli spostamenti sul terreno. Tutto questo lo esponeva, come è ovvio, a frequenti cadute. Quella che ha causato i segni osservati dagli scienziati deve essere stata fatale per Lucy.

 

Ricostruzione della caduta di Lucy_Nature

Ricostruzione della caduta di Lucy. Fonte: Fonte: Kappelman J., Ketcham R.A., Pearce S., Todd L., Akins W., Colbert M.W., Feseha M., Maisano J.A., Witzel A., Perimortem fractures in Lucy suggest mortality from fall out of tall tree, Nature (2016) doi:10.1038/nature19332

 

Così l’arrampicata della nostra progenitrice deve essersi interrotta con un volo di circa 12 metri, a una velocità di quasi 60 chilometri all’ora, atterrando sui piedi e portando le braccia in avanti, per proteggersi. La morte deve essere sopraggiunta dopo poco.

 

Ora sappiamo molto dell’esistenza di Lucy. Non più un mucchio di ossa ritrovate nella lontana Etiopia. I dati si sono trasformati in qualcosa di diverso. Si evince dal racconto di John Kappelman, paleoantropologo a capo delle indagini, alla rivista Le Scienze: “Quando è apparso chiaro il tipo di lesioni multiple di Lucy, nella mia mente è apparsa la sua immagine, e ho sentito un moto di empatia al di là del tempo e dello spazio. Lucy non era più semplicemente una raccolta di ossa; nella morte era diventata un individuo reale: un piccolo corpo spezzato che giace inerme ai piedi di un albero”.

 

Una grande scoperta, la ricostruzione della vita di una nostra antenata, infine un passo decisivo verso la comprensione del cammino evolutivo. Look for the girl with the sun in her eyes / And she’s gone/ Lucy in the sky with diamonds.

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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