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18 Feb 2019

Puzzle archeologici

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Si chiama anastilosi. È la ricostruzione di antichi edifici mediante la ricomposizione delle strutture con i pezzi originali. Molte sono le architetture che, nel corso dei secoli, hanno subito le ingiurie del tempo – degrado dovuto a fattori ambientali, di natura fisica, chimica e biologica – o quelle degli uomini, che ne hanno saccheggiato o distrutto parti. Le nuove tecnologie ci permettono di provare a ricomporre questi puzzle archeologici, comodamente seduti davanti a un PC o sulla scrivania di un laboratorio.

Si chiama anastilosi. È la ricostruzione di antichi edifici mediante la ricomposizione delle strutture con i pezzi originali. Molte sono le architetture che, nel corso dei secoli, hanno subito le ingiurie del tempo – degrado dovuto a fattori ambientali, di natura fisica, chimica e biologica – o quelle degli uomini, che ne hanno saccheggiato o distrutto parti. Le nuove tecnologie ci permettono di provare a ricomporre questi puzzle archeologici, comodamente seduti davanti a un PC o sulla scrivania di un laboratorio. Modelli digitali e stampe 3D sono strumenti oramai molto diffusi. Esiste chi, però, per motivazioni economiche, burocratiche e geografiche – e, forse, anche teoriche – deve cercare di impiegare questi mezzi minimizzando i costi. Nasce così lo studio, pubblicato su Heritage Science, in cui i ricercatori hanno cercato di porre le prime basi per una ricostruzione di un antico edifico del sito di Tiwanaku, in Bolivia.

 

Pumapunku (che, in lingua aymara, significa “la porta del puma”) è parte di un complesso monumentale collocato nel sito di Tiwanaku, in Bolivia, risalente a un periodo compreso tra il 500 e il 950 d.C. L’edificio è stato descritto da viaggiatori e conquistatori spagnoli del XVI e del XVII secolo come meraviglioso nonostante fosse incompleto, caratteristica peggiorata dal saccheggio perpetrato nel corso di cinque secoli da cacciatori di tesori. I due elementi fondamentali della struttura rimasti sono una lastra di arenaria (una roccia sedimentaria) impiegata come base e 150 blocchi di andesite (una roccia effusiva) che costituivano una superstruttura.

 

Come realizzare, a questo punto, una ricostruzione virtuale di un monumento in una condizione così frammentaria? Archeologi e conservatori che lavorano con monumenti del periodo classico hanno solitamente accesso a documenti scritti, rappresentazioni grafiche e analoghi dislocati in tutto il paese in cui stanno scavando. La situazione di Tiwanaku si configura quasi come una sfida impossibile: nessuna documentazione scritta contemporanea alla realizzazione dell’opera, nessuna costruzione analoga nel territorio, un numero non definito di blocchi scomparsi e un progetto comunque mai completato.

 

L’àncora di salvezza degli studiosi è stato il fregio scolpito nei blocchi di andesite prima della messa in opera dei conci (cosa che non accadeva in altre parti del mondo, in cui si costruiva prima la struttura e poi si procedeva alla decorazione): la guida per l’anastilosi è stato, quindi, il disegno della decorazione.

 

La fase successiva, in altri contesti, sarebbe stata una raccolta di dati su campo con il laser scanner o mediante fotogrammetria, per ricavare in seguito il modello digitale. Gli archeologi, per limitare i costi e superare ostacoli di natura tecnica (ma anche sociale e geografica) quali l’accesso limitato a Internet e a risorse software e hardware necessarie per manipolare una ricostruzione 3D virtuale – con lo scopo di indagare le combinazioni tra i frammenti rimasti di Pumapunku – , hanno preferito un’altra via.

 

Modello Virtuale Anastilosi Digitale Bolivia

 

Modello virtuale basato su una mappa del 1848 e su una fotografia del 1893 (la base in arenaria è di colore marrone). Credits: Alexei Vranich, Reconstructing ancient architecture at Tiwanaku, Bolivia: the potential and promise of 3D printing, Heritage Science 2018 6:65 (CC BY 4.0)

 

Documenti di archivio, gli appunti su campo precedentemente raccolti e in cui erano trascritte anche le misure e le caratteristiche geometriche dei blocchi di roccia, un software di disegno open-source come SketchUp e una stampante 3D: questi sono stati i mezzi con cui i ricercatori hanno proceduto alla realizzazione del loro puzzle, facile da maneggiare e immediato nella comprensione, al fine di sperimentare le varie combinazioni tra i resti dell’edificio e riuscire, grazie all’esperienza e alla conoscenza pregressi, a trovare il bandolo della matassa. Non solo: questa specie di Lego possono essere anche lo strumento di operatori occupati nella promozione del territorio per divulgare la storia di un sito archeologico altrimenti di difficile lettura.

 

Frammenti Pumapunku Stampa 3D

 

Frammenti del monumento stampati in 3D e suddivisi in categorie. Credits: Alexei Vranich, Reconstructing ancient architecture at Tiwanaku, Bolivia: the potential and promise of 3D printing, Heritage Science 2018 6:65 (CC BY 4.0)

 

Si è arrivati a una soluzione, a una ricostruzione credibile di quello che doveva essere Pumapunku? No, infatti l’autore dell’articolo, pubblicato su Heritage Science, ha affermato che il vero obiettivo da lui perseguito era quello di rivalutare il lavoro su campo dell’ultimo secolo e creare una metodologia nuova, efficiente e non-invasiva per ricostruire architetture distrutte per renderle comprensibili a un’estesa platea di utenti interessati. Quindi missione compiuta!

 

Venire a capo di un puzzle le cui tessere mancano o sono danneggiate non è un’impresa facile. Se gli strumenti a disposizione sono pochi è necessario fare affidamento su esperienza, conoscenza e creatività ma ciò non esclude un approccio più tecnologico, come appunto l’uso del laser scanner, della manipolazione digitale e di modelli statistici per testare le numerose combinazioni di frammenti. Ciò, naturalmente, quando possibile e se il materiale e i dati presenti permettono di prospettare una risoluzione reale del problema. Alexei Vranich, a capo della ricerca descritta, ha voluto, invece, sottolineare il valore di un metodo più tradizionale, basato quasi esclusivamente sulle competenze dell’archeologo, in parte esagerando i difetti delle indagini più innovative. Ben vengano le alternative a strumentazioni costose e analisi che richiedono molto tempo, ma non iniziamo a dubitare di quest’ultime: il progresso tecnologico non mortifica l’uomo, al contrario, ne potenzia le capacità, lo aiutano ad abbracciare un punto di vista multidisciplinare, liberandolo dalle soffocanti pareti di un sapere monotematico.

 

Immagine di copertina: blocchi di andesite nel sito di Tiwanaku, Bolivia. Credits: Alexei Vranich, Reconstructing ancient architecture at Tiwanaku, Bolivia: the potential and promise of 3D printing, Heritage Science 2018 6:65 (CC BY 4.0)

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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