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19 Feb 2018

Quando arte e scienza si fondono: le cere anatomiche

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Eteree e decadenti, belle e spaventose, sofferenti e immortali. Sono le cere anatomiche, una delle espressioni più chiare e affascinanti del connubio tra arte e scienza e di quanto la prima possa supportare la seconda. In Italia sono molte le collezioni che conservano questi delicati manufatti, la cui storia ha inizio lontano da noi nel tempo e nello spazio.

Eteree e decadenti, belle e spaventose, sofferenti e immortali. Sono le cere anatomiche, una delle espressioni più chiare e affascinanti del connubio tra arte e scienza e di quanto la prima possa supportare la seconda. In Italia sono molte le collezioni che conservano questi delicati manufatti, la cui storia ha inizio lontano da noi nel tempo e nello spazio.

 

In principio la cera, in ambito artistico, era il medium da mescolare con i pigmenti nella pittura a encausto, di cui ci parla Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, tecnica andata in disuso tra l’VIII e il IX secolo d.C per fare posto prima alle tempere e, in seguito, agli oli. Questo materiale ha continuato a essere il protagonista della fusione a cera persa che, dall’Antica Grecia fino alla Toscana rinascimentale, ha permesso di creare magnifiche statue in bronzo e opere di oreficeria. Ma è il suo ingresso nel mondo dei riti funebri, precristiani prima, e degli ex-voto dopo, che la cera comincia a essere accostata alla statuaria e alla riproduzione anatomica.

 

Di cera erano le maschere funebri del patriziato romano ma anche gli ex-voto – custoditi in chiese, cappelle o località di pellegrinaggio – che spesso rappresentavano parti del corpo malate, per cui si chiedeva la grazia della guarigione, o sane, con le quali si esprimeva gratitudine per il miracolo ottenuto. Questi oggetti devozionali ebbero grande successo nella Firenze, del periodo compreso tra il XIII e il XVII secolo, ma è l’interesse verso lo studio anatomico che avvicinò gli artisti a un materiale così malleabile e mimetico. Nel Cinquecento la cera fu adoperata da Leonardo da Vinci per calchi, modelli, iniettandola addirittura all’interno di cavità corporee di cadaveri per riprodurne fedelmente forma e dimensione: ecco la prima scintilla di quella che sarà l’anatomia plastica, con i suoi protagonisti e le sue collezioni.

 

 

 

 

 

Quando la statuaria in cera divenne strumento ufficiale della conoscenza scientifica? Nel momento in cui la sua accuratezza, il realismo e la relativa stabilità, fecero sì che rappresentasse una valida alternativa a un cadavere da dissezionare, specialmente nei mesi più caldi, per lo studio del corpo umano nelle facoltà di medicina. Tanti furono gli artisti che si avvicendarono nel corso dei secoli e ricche le collezioni in cui furono accolte le loro opere. C’era Gaetano Giulio Zummo (1656-1701), abate siracusano quasi ossessionato dalla vanitas, che lavorò per il Museo La Specola di Firenze, Ercole Lelli (1702-1776) che produsse i primi modelli anatomici a scopo didattico a Bologna. Per la stessa collezione lavorarono Giovanni Manzolini (1700-1755), allievo del Lelli, e sua moglie Anna Morandi (1716-1774): ricercatrice-artista in un’epoca che voleva le donne lontane dalle scienze, oltre a modellare cere di particolare pregio sul piano artistico e tecnico, s’interessò allo studio degli organi di senso ed è sua la scoperta che il muscolo obliquo inferiore dell’occhio, che si riteneva arrestarsi all’apofisi nasale, termini nel sacco lacrimale. Per non parlare di Clemente Susini (1754-1814), della scuola fiorentina, le cui sublimi opere sono conservate a Cagliari.

 

Questo è solo un breve viaggio in un mondo molto più vasto – tanti altri sono gli artisti che si sono cimentati nella tecnica della ceroplastica e le loro opere sparse in tutto il mondo – che ha permesso a tantissimi studenti, in anni in cui non esistevano fotografie, radiografie e TAC, di esplorare il corpo umano e di comprenderne il funzionamento e le patologie che lo affliggono. Ancora una volta l’arte ha contribuito allo sviluppo scientifico, salvando – perché no – anche non metaforicamente, delle vite.

 

“Venerina” di Clemente Susini conservata Museo di Palazzo Poggi, Bologna. Credits: La Rocaille (Museo Palazzo Poggi) [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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