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22 Giu 2015

Troppo polimaterico, incredibilmente multidisciplinare

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Curare un bene culturale è come curare un essere umano: in presenza di una patologia è necessario effettuare prima delle analisi approfondite, assicurarsi della compatibilità delle terapie – questo è il mestiere del conservatore (conservation scientist) che si preoccupa di valutare i “referti” prodotti da tutti gli scienziati coinvolti – per poi passare al trattamento, compito delle mani esperte dei restauratori. 

Fonte: www.infn.it

Curare un bene culturale è come curare un essere umano: in presenza di una patologia è necessario effettuare prima delle analisi approfondite, assicurarsi della compatibilità delle terapie – questo è il mestiere del conservatore (conservation scientist) che si preoccupa di valutare i “referti” prodotti da tutti gli scienziati coinvolti – per poi passare al trattamento, compito delle mani esperte dei restauratori.

 

Cos’è un bene culturale? Difficile definirlo così, su due piedi. Dipinti, statue, chiese sono sicuramente tra i primi oggetti ai quali pensiamo. Poi, però, riflettendoci in maniera più approfondita, potremmo confermare con una certa sicurezza che anche un vaso antico è un bene culturale, uno scorcio suggestivo della nostra città lo è, perfino un abito degli anni ’20. Ci stiamo sbagliando? L’insieme di riferimento è più piccolo o, al contrario, infinito?

 

È la legge che, in questo caso, ci dà una mano nel definire un bene culturale: già nel 1964, grazie alla Commissione Franceschini, istituita proprio per “la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio”, il bene culturale è delineato come “testimonianza avente valore di civiltà”. Una prima affermazione che può sembrare generica ma che, effettivamente, racchiude in sé, con una perfetta sintesi, quello che è il patrimonio costituito da tutto ciò che presenta interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

 

Libri, edifici, minerali, disegni, armi, erbari, collezioni di pellicole, fotografie ma anche di riviste, quotidiani, raccolte di caricature: un giacimento immenso da conoscere, conservare e valorizzare per ricordarci chi siamo, per comprendere l’evoluzione della nostra società nei suoi innumerevoli aspetti. Da questo elenco incompleto già si avverte quale sia il problema principale di chi studia i beni culturali per la conservazione ed il restauro: il loro essere polimaterici. In una tela del Rinascimento, ad esempio, ci sarà il tessuto del supporto, il gesso e la colla dello strato di preparazione che accoglierà disegno e strato pittorico, il tuorlo d’uovo o l’olio di semi di lino del legante utilizzato per rendere stendibile il pigmento in polvere che a sua volta potrà essere di origine minerale, animale o vegetale. Per non parlare dell’arte contemporanea che costituisce una vera e propria sfida in quest’ ambito, tra i murales di Keith Haring e le opere di Maurizio Cattelan in cui ritroviamo cera o animali imbalsamati.

 

Come fare, quindi, a progettare un corretto piano di conservazione o a stabilire quali materiali adoperare per il restauro, sostanze che dovranno essere necessariamente compatibili con tutto ciò che costituisce l’oggetto in fase di studio? La diagnostica e il restauro sono campi estremamente multidisciplinari: storia, archeologia, storia dell’arte, teoria del restauro si intrecciano con le conoscenze e strumenti della geologia, mineralogia, petrografia, fisica e chimica applicate, botanica, zoologia, microbiologia, antropologia, informatica e tanti altri rami della ricerca scientifica per analizzare e proteggere reperti del passato – più o meno remoto – che ci raccontano la storia della nostra civiltà.

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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