Quasi senza accorgercene, siamo passati nel corso degli anni da un consumo passivo della televisione a interagire all’interno di magmatici universi comunicativi mediati da dispositivi elettronici connessi a internet.
Siamo, in altre parole, nel mezzo di una rivoluzione. Se anche la televisione cambiò il nostro modo di vivere, innanzitutto diffondendo informazione, punti di vista diversi, mode, tuttavia ciò non ha avuto nulla a che vedere con gli stravolgenti mutamenti in corso oggi. Siamo infatti stati proiettati, e senza preavviso, in un nuovo paradigma di comunicazione umana, molto più complesso e molto meno sicuro e lineare di un tempo. E questo rappresenta un problema di fondo non da poco, dato che in media le persone sono piuttosto inclini a cedere anche a facili certezze pur di percepirsi stabili e sicure.
Rapporto tra tecnologie e identità
Le nuove tecnologie stanno ponendo a rischio la stessa stabilità della nostra identità. E ciò perché l’identità si forma e si ristruttura nel corso del tempo, in quanto rappresenta quell’Io riflesso dagli atteggiamenti degli altri verso di noi, e infine perché l’identità è malleabile per sua natura. A differenza della personalità, infatti, che ha una sua solidità in quanto in parte il risultato di fattori genetici e in parte delle prime esperienze di vita, l’identità soggettiva è sempre abbastanza precaria, proprio perché sottoposta a continue modulazioni e autoalterazioni.
L’elemento “dopante” dell’identità è però oggi potentissimo. Si chiama internet, e più in particolare sono i social media. È lì che troviamo, innanzitutto, lo scenario per continue autorappresentazioni di noi stessi che trovano spazio e comunicazione in universi simbolici artificiali, dai quali è possibile uscire in qualsiasi momento per abbracciarne di nuovi, fino a rischiare di smarrire, tuttavia, il nostro universo di riferimento nel mondo reale.
Qual è il risultato di tutto questo? Non sapere più chi siamo. La personalità ci ricorda infatti solo “come siamo”, ma il “chi siamo” nella nostra realtà di vita dipende dall’identità, che però, appunto, è ormai troppo instabile, manipolabile e manipolativa.
Bambini e giovani: il lato oscuro delle tecnologie
Salvo improvvise novità, gli effetti della rivoluzione in corso – ancora apparentemente noti solo a noi scienziati che ci occupiamo dei mutamenti interazionali – a breve saranno drasticamente più visibili, in particolare sugli attuali giovani. E non mi riferisco a effetti positivi. Ritengo infatti che sia superfluo dettagliare l’unica cosa che di questo discorso è già chiara a tutti: i vantaggi delle tecnologie connesse a internet.
L’insegnamento, l’apprendimento e la comunicazione a distanza, la distribuzione della conoscenza nel mondo, l’espansione delle reti relazionali, e tutto a bassi o assenti costi, costituiscono fattori di un elenco che non vuole certamente essere esaustivo delle meravigliose chance che questa rivoluzione ci offre. Ma ciò di cui non si parla, o si parla in modo improprio, o per sentito dire, o che si crede essere un tabù o possa divenire un reato, è il lato oscuro delle tecnologie di comunicazione. È proprio questo che, in assenza di interventi che ormai non sono solo urgenti ma tardivi, suggerisce che i danni di questa rivoluzione potrebbero superare i noti benefìci.
Nel 1970, i bambini non utilizzavano uno schermo se non prima dei 4 anni. Già prima della pandemia, che sappiamo ha prodotto un’accelerazione della trasposizione delle relazioni reali sul piano virtuale, molti bambini iniziavano a fruire delle moderne tecnologie, cioè ad essere sottoposti dai genitori al cosiddetto screen time, già a partire dai 4 mesi. È ancora prematuro sapere scientificamente quali saranno gli effetti da adulti di ciò che sta accadendo agli attuali infanti, ma già sappiamo che gli adolescenti di oggi, che nemmeno hanno sperimentato questi dispositivi fin dalla tenera età, se iperconnessi sono soggetti a gravi sintomi depressivi e forte ansia. Questo è l’effetto dello smarrimento dell’interazione umana reale, e delle insostituibili esperienze di vita “offline”.
Gli effetti dell’iperconnessione
Entrando nello specifico delle patologie sociali, e di conseguenza psicologiche, prodotte dal binomio iperconnessione/social media, ricerche che abbiamo condotto nell’ambito degli studi dell’Osservatorio sulle tendenze giovanili del gruppo di ricerca MUSA su migliaia di adolescenti in tutta Italia tra il 2019 e il 2022, ci hanno permesso non solo di sapere che gli adolescenti che trascorrono oltre tre ore al giorno sui social media (gli iperconnessi) sono raddoppiati (dal 23,1% al 39,4%) in soli due anni e mezzo (prima della pandemia avevamo stimato di giungere all’attuale quota almeno nel doppio del tempo; fatto che avrebbe permesso di attivare interventi educativi di accompagnamento), ma soprattutto di scoperchiare i meccanismi che stanno generando dei peggioramenti epocali sul benessere relazionale e psicologico giovanile.
Aumento di stati psicologici negativi, riduzione della fiducia verso le figure adulte, maggiore coinvolgimento nel cyberbullismo, vittimizzazione, phubbing, angosce per l’aspetto corporeo e il convincimento che le relazioni online possano concretamente sostituire quelle offline sono gli elementi che rendono sempre più instabile l’identità adolescenziale, sottoposta alle sirene incantatrici dei prefabbricati, e fabbricabili, mondi social. Questi sintomi, emersi dopo approfonditi studi basati su modelli matematici causali testati su numerose variabili di tipo socio-demografico, interazionale e psicologico, si manifestano all’aumentare del tempo trascorso sui social media, ovvero al superamento della soglia critica dell’iperconnessione.
Chi sta subendo danni maggiori al momento sono le ragazze, che sono le persone più iperconnesse. Loro, ma non certo solamente loro (così come tantomeno solamente i giovani), presentano più problemi di autostima, ansia, depressione, emozioni primarie negative, infelicità, insoddisfazione e pessimistici atteggiamenti verso il futuro. Le ragazze sono anche maggiormente suggestionate dalle pressioni sociali a conformarsi a norme comportamentali che basano sull’immagine il riconoscimento esterno e che sono erroneamente percepite come di successo. A parità di iperconnessione da social media, queste differenze per sesso non sono di certo casuali. Riflettono anch’esse differenze nella socializzazione, in particolare quella “binaria”, che è quel modo patriarcale, ancora oggi dominante, di educare differentemente maschi e femmine proprio in virtù del relativo sesso e per effetto degli stereotipi di genere.
Il ruolo delle figure educative
Va da sé che trovarsi a questo punto è l’esito di importanti carenze educative, sia da parte del mondo genitoriale che scolastico. Non che l’ineducazione sia intenzionale, ma distrazione, sottovalutazione, scarsa attenzione alla conoscenza, al ruolo socializzante della scuola, alla fondamentale distinzione dei ruoli di genitore, figlio e docente, non stanno responsabilmente accompagnando i giovani in questa rivoluzione che li renderà solo cronologicamente adulti.
L’iperprotettività, il proteggere i propri figli sotto la campana di vetro, la campana dei “sì”, dove non sperimentano la negazione, il contrasto, limiti e regole, per poi essere lasciati in balìa dei social media, non costituisce la miglior strategia di crescita di un figlio, e rompe l’asimmetria che deve esserci tra educatore ed educando. Il mondo esterno alla famiglia, quello reale, che non è affatto più pericoloso di quello dei social media, piaccia o meno è l’unico nel quale è possibile sviluppare consapevolezza e responsabilità nell’agire. La conseguente ipersensibilità giovanile diviene in questo contesto mancanza di esperienza fatta al momento giusto e nel mondo giusto, e quindi scarso sviluppo degli anticorpi necessari a vivere nel sociale reale; dimensione alla quale al crescere dell’età tanto non si sfugge, salvo sottrarsi alla formazione, al lavoro e alle possibilità di sperimentare appieno ogni relazione umana, ossia salvo isolarsi a vita.
Un uso consapevole delle tecnologie
Dato che non è più concepibile pensare a un futuro senza social media o intelligenza artificiale, per avvalerci dei pregi di queste tecnologie, arginando però i danni che producono, è necessario intervenire ormai con tempestività ponendo innanzitutto l’accento sulla qualità dell’uso dei social media. Più che vietare o stabilire limiti al loro uso quotidiano (è noto che i divieti possano addirittura produrre effetti contrari a quelli voluti), è necessario sensibilizzare a un uso consapevole delle tecnologie e ai rischi dell’iperconnessione. Dato che questo è un ruolo primario della scuola, che peraltro sempre più si avvarrà di questi strumenti a fini didattici, è innanzitutto d’obbligo spostare l’attenzione sui docenti, supportarli e fornirgli formazione specialistica su iperconnessione, dipendenza da internet, comportamenti virtuali, cyberbullismo e annesse strategie di gestione dei correlati problemi.
Ogni azione non sarà però mai concretamente efficace se non diverrà elemento di un disegno più ampio, che implica l’attivo coinvolgimento di genitori, comunità territoriale di riferimento e degli stessi giovani in attività di sensibilizzazione, educazione e formazione. Per preservare l’interazione reale umana e smascherare i distorti e sovrabbondanti modelli educativi dei social media, si rende infatti ineludibile far emergere modelli educativi autorevoli. Gli adulti, a partire dai genitori, devono tornare ad essere figure veramente di riferimento. Devono riguadagnarsi o guadagnarsi – da genitori e non da “amici” – la fiducia che gradualmente stanno perdendo da parte dei propri figli.
La rivoluzione nell’interazione umana in cui siamo così silenziosamente immersi, a differenza delle altre rivoluzioni, non ha fini. È una macchina potente che corre all’impazzata. È un vortice che ingloba sempre più persone che progressivamente si distaccano dalla vera realtà. È l’illusione di un ancoraggio che confonde anziché rassicurare. È cronofagia. È tempo consumato con trepidazione senza precise ragioni. Finché ciò non sarà chiaro rimarremo abbagliati solo dai vantaggi che la tecnica ci offre, di cui non dobbiamo privarci, ma a cui dobbiamo educarci per non perdere il radicamento dalla società e una visione critica del nostro tempo e delle nostre scelte di vita.
Riferimenti bibliografici
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