Una riflessione da Plan 75
Ci sono film che misurano quello che i tedeschi chiamano lo zeitgeist, lo spirito del tempo. Uno di questi, nelle sale cinematografiche in questo periodo, è Plan 75, un film giapponese, ambientato proprio in Giappone, uno dei Paesi con la popolazione più vecchia del mondo, insieme all’Italia (in Giappone l’età mediana – non dobbiamo spiegare qui la differenza tra media e mediana – nel 2021 era 48,4 anni, mentre l’Italia è al secondo posto con 46,8 anni).
Il film, ambientato al giorno d’oggi, è un genere di distopia che immaginiamo plausibile: un piano “statale” per dare la possibilità di “uscire di scena” agli ultrasettantacinquenni che lo desiderano. Il tutto “per far spazio ai giovani”, per non “soffocare” il Paese e, in estrema sintesi, per il bene comune.
Un mondo che sembrerebbe funzionare al contrario, con tutte le contraddizioni che il film ha il pregio di mostrare: anche chi, tra i giovani, lavora senza porsi troppi problemi al progetto “Plan 75” – garantendosi, da quel che si intuisce, un ottimo stipendio – alla fine incappa in un vecchio zio, che mette in moto il piano personale, il riallacciamento di un rapporto che si credeva chiuso o del quale quasi non si aveva memoria. Insomma, anche nello “straniante” Giappone (per noi occidentali), la componente umana sembra alla fine prevalere e un paio dei protagonisti di questa storia (di cui vedete qui il trailer), che ci proietta nella distopia nella quale almeno in parte viviamo, a un certo punto si voltano e cominciano a remare controcorrente per non essere più correi di una tale assurdità.
Una popolazione che aumenta
Una assurdità alla quale, anche nella realtà che viviamo, si arriva per le cose che sappiamo e magari a cui cerchiamo di non pensare: siamo 8 miliardi con una popolazione mondiale che, nel frattempo, è invecchiata moltissimo, come si vede da questi due grafici tratti dal sito «Our World in Data».
Il primo rappresenta l’età mediana dei diversi Paesi nel 1950, quando la popolazione mondiale era circa 2,5 miliardi di persone, ovvero oltre due terzi meno di quella attuale, mentre il grafico successivo è la stessa rappresentazione, ma nel 2021, con i quasi 8 miliardi che ora siamo. Insomma, ci troviamo in “un mondo in cui non si muore” più, in cui il ricambio generazionale è inceppato da una longevità in qualche modo inattesa, soprattutto per i suoi effetti.
Un aspetto non secondario del film – da cui, come Paese, sembriamo essere più o meno illusoriamente immuni – è quello del welfare: i protagonisti anziani di questo film sono tutti soli in quegli angusti cubicoli che sono le loro abitazioni (a proposito di effetto straniante) e in qualche occasione trovano il conforto della compagnia di coetanei. La protagonista poi, anomalia tra le anomalie, lungi dell’essere un elemento improduttivo della società, alla veneranda età di 78 anni ancora lavora come donna delle pulizie in un albergo (ma forse in nero). Quando perde il lavoro e, quasi contestualmente, compare un avviso di demolizione nell’androne del palazzo in cui vive, il suo mondo scricchiola e decide, non avendo parenti, di aderire al programma “Plan 75” (ma non riveliamo la fine per chi volesse vedere il film).
La situazione in Italia
E da noi? La situazione sembra migliore. C’è certamente un welfare familiare più diffuso: quando gli anziani genitori perdono l’autonomia di solito – ma non è una regola – vengono aiutati dai parenti più prossimi: figli, nipoti. In altri casi, quando figli e nipoti sono lontani o impossibilitati, questi anziani finiscono in strutture di ricovero. Ma, almeno qui in Italia, per fortuna, siamo ancora lontani da un programma concepito come “uscita volontaria”, soprattutto dove, almeno a livello nazionale, qualcuno parla di “inverno demografico” o, peggio ancora, di “sostituzione etnica”.
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