Guardare vecchi film – magari stanchi delle proposte-fotocopia delle piattaforme streaming – è sempre un po’ un modo per vedere come eravamo, quali erano i problemi e i pensieri che assillavano la società in quel dato momento.
Guerra fredda e alieni: quando i film rispecchiano le inquietudini
Il 1° marzo 1955 sir Winston Churchill, nel suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni, noto come Never despair, annuncia che l’Inghilterra ha avviato la costruzione della bomba all’idrogeno, ma esprime anche la sua inquietudine di fronte alla prospettiva di una distruttiva guerra atomica.
Siamo in piena guerra fredda. L’anno successivo, gli alieni del film L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers), che si riproducono così subdolamente approfittando del sonno e delle tenebre, così simili a noi in tutto e per tutto, devono essere sembrati proprio quei consimili che stanno, dall’altra parte del globo, oltrecortina, e che sapevamo essere come noi, umani, ma che immaginavamo con altre idee, magari frutto di un colossale “lavaggio del cervello”.
A tutta prima sembra solo una suggestione, ma lo è davvero? Avremmo dovuto chiederlo a Don Siegel, già prolifico regista che diresse anche quest’opera, messa in piedi con pochissimi denari, in un’epoca, quella dei kolossal hollywoodiani, le cui produzioni erano assai costose in proporzione. Al di là della storia di botteghino del film – con cui però il tempo è stato galantuomo – è interessante riprendere un paio di dialoghi.
La storia del film
Partiamo dalla trama, che in molti, ma forse non tutti, conoscono: un medico (Miles J. Bennell) viene fermato dalla polizia e portato in un pronto soccorso in evidente stato di agitazione. Comincia così a raccontare la storia che lo ha condotto lì – il film stesso è un gigantesco flashback – a partire da una sorta di “epidemia isterica” che sembra colpire gli abitanti della piccola cittadina in cui vive e lavora, Santa Mira.
Ci sono inizialmente piccole cose che non quadrano: pazienti miracolosamente guariti, da un momento all’altro, e questa “epidemia” di persone che sembrano affette da sindrome di Capgras (di cui curiosamente nel film non si fa mai cenno, nonostante il suo scopritore, lo psichiatra francese Joseph Capgras, morto sei anni prima, l’avesse diagnosticata).
Gli eventi precipitano e il medico insieme alla fidanzata (Becky Driscoll), una vecchia fiamma rientrata in città, in breve è costretto a correre ai ripari e a fuggire, avendo avuto evidenze di questi giganteschi baccelli che, nell’arco di pochissimo tempo, si aprono per acquisire le sembianze identiche delle persone di cui prendono il posto e di cui, durante il sonno, “assorbono” la mente, di fatto uccidendole.
Tra paura e ammirazione per la scienza
La graduale scoperta della verità vede, a un certo punto, la coppia di fidanzati tentare di mettersi in contatto con l’FBI, avendo il forte sospetto che la polizia locale di Santa Mira sia ormai “mutata” in questi organismi alieni.
Mentre sono in attesa del collegamento – siamo pur sempre nel 1956 e si passava da un centralino per fare le telefonate… – il dialogo assume i toni di un climax serrato.
La fidanzata chiede: «Ma da dove saranno venuti fuori?». Il medico, uomo di scienza, quindi dotato di una razionalità che deve tenere a bada la paura, risponde: «Con le ultime conquiste dalla scienza tutto è possibile. Saranno il risultato della radiazione atomica sulla vita vegetale o su quella animale. Oppure qualche altra strana forma di vita di altri pianeti…».
Lei lo incalza: «Ma perché prendono l’aspetto umano, il nostro?». E lui: «Non lo so, non lo so… di qualsiasi provenienza, di qualsiasi origine essi siano, una cosa è certa: chi li governa, intelletto o istinto che sia, deve avere una potenza incredibile, fantastica, superiore a ogni limite umano».
Insomma, la paura – che si trasformerà in terrore – è mista, comunque, a una sorta di ammirazione per tanta potenza, per tale e tanta capacità.
Ma il dialogo è figlio di quel tempo: della scienza, di cui ci si fida, si percepiscono gli scricchiolii e gli effetti collaterali legati all’energia atomica e allo sciagurato uso che, poco più di un decennio prima, ne era stato fatto con le due bombe atomiche sganciate sul Giappone, in una “corsa agli armamenti” che, come accennato col riferimento al discorso di Churchill, è in pieno avanzamento.
Un dibattito etico sull’uguaglianza e l’amore
Il secondo scambio, quello in filigrana più “politico” avviene quando i due sono ormai in piena fuga e trovano rifugio nello studio del medico.
In attesa degli amici Jack e Theodora, sapendo che il sonno sarà per loro fatale, restano svegli, ma quando Jack arriva accompagnato dallo psichiatra – il dottor Dan “Danny” Kauffman, a cui inizialmente Miles aveva chiesto un consulto – si rendono subito conto che anche loro sono ormai “trasformati”:
– Kauffman: non c’è niente da temere, non vi faranno alcun male…
– Jack: …anzi è una cosa bellissima. L’abbiamo potuto constatare Teddy [la moglie Theodora, n.d.r.] e io. Non fate quella faccia.
– Becky: E non avete rimpianti?
– Jack: E cosa dovremmo rimpiangere?
– Becky: Lasciateci andare via!
– Miles: Non torneremo più a Santa Mira!
– Kauffman: Non è possibile. Sarebbe troppo pericoloso per noi.
– Jack: Non cercate di resistere. È inutile. Prima o poi dovrete addormentarvi.
– Kauffman: Miles, tu come me sei un uomo di scienza e come me sei in grado di apprezzare l’intima bellezza di questo fenomeno. Appena un mese fa Santa Mira era ancora una città come tutte le altre, piena di gente con mille problemi, quando ecco avverarsi il fatto incredibile: semi che avevano vagato per anni nello spazio finiscono in un campo qui vicino. Questi semi danno dei baccelli che hanno il potere di riprodurre con assoluta fedeltà qualsiasi forma di vita animale…
– Miles (stupito, rivolgendosi a Becky): La loro provenienza è il cielo.
– Kauffman: I vostri nuovi corpi stanno ora crescendo lì dentro, vi stanno riproducendo cellula per cellula, organo per organo. Non sentirete male. Mentre sarete immersi nel sonno, essi assorbiranno la vostra mente per farvi rinascere in un mondo tranquillo, senza problemi.
– Miles: Ma dove tutti sono uguali.
– Kauffman: Proprio così.
– Miles: Povera umanità. Becky e io non siamo gli ultimi rimasti. Gli altri vi distruggeranno.
– Kauffman: Domani non lo vorrai più. Domani sarai uguale a noialtri.
– Miles: Io amo Becky. L’amerò domani come la amo oggi?
– Kauffman: Non è necessario l’amore.
– Miles: Niente amore? Nessun sentimento? Solo l’istinto di conservazione… non potete amare né essere amati, vero?
– Kauffman: Lo dici come se fosse una mostruosità, ma non lo è affatto. Sei stato innamorato altre volte, ma non è durata. Non dura mai. Amore. Desiderio. Ambizione. Senza tutto questo la vita è molto più semplice…
– Miles: Non mi interessa la vita così…
– Kauffman: Dimentichi una cosa Miles…
– Miles: Che cosa?
– Kauffman: Non hai altra scelta.
La tensione a questo punto si interrompe: Miles finge di stare al gioco e di rassegnarsi all’idea, ma è solo una strategia per guadagnare tempo.
L’uguaglianza come minaccia: il comunismo
Ora: l’ipotesi che larvatamente ci sia sotto, anche solo per accenni, un discorso politico – questo terrore letterale nell’immaginarsi “tutti uguali” – è solo una suggestione, ma una suggestione per certi aspetti corroborata da quel presente: siamo in pieno maccartismo e in piena “caccia alle streghe” verso quegli elementi che, anche solo lontanamente, davano segno di simpatie “a sinistra”.
Abbiamo di recente assistito all’esplosiva uscita (in almeno due sensi: sia per successo al botteghino, sia perché proprio di bomba atomica si parla nel film) di una pellicola come Oppenheimer, del premiato regista Christopher Nolan.
Uno dei temi conduttori del film è la caduta di quello che è stato per molti, all’epoca, un eroe nazionale, proprio a seguito delle sue amicizie e simpatie di sinistra: dopo essere stato a capo del progetto scientifico più complesso che il mondo avesse visto fino a quel momento, nel quale sono state riunite le migliori menti della fisica mondiale, per Oppenheimer il “premio” fu un’indagine serrata e del tutto immotivata su una possibile e presunta fuga di notizie verso l’Unione Sovietica su come la bomba poteva essere costruita.
Mentre il film di Nolan riflette un dato storico acclarato, L’invasione degli ultracorpi risulta più interessante proprio perché la fantascienza ha, qui come altrove, la capacità di intercettare ansie e paure di un’epoca: da un lato il timore per l’escalation degli arsenali nucleari, per quantità e qualità (la paura di Miles che queste creature potessero essere frutto di una mutazione legata alle radiazioni atomiche); dall’altro questi “replicanti senz’anima”, in tutto e per tutto “come noi”, ma in quel mondo “grigio e senza tempo” che agli occhi occidentali appariva quello sovietico.
Se vogliamo provare a dare al film di Don Siegel una lettura a un diverso livello, forse questa irrazionale caccia alle streghe maccartista aveva alla base, non solo (e non tanto) il pericolo comunista in quanto tale, ma quello che il comunismo in sé rappresentava per un pubblico che spesso aveva una visione ingenua di ciò che stava fuori dai confini americani: un livellamento della vita secondo standard decisi altrove; un livellamento che, come un morbo, poteva arrivare a incidere persino i sentimenti più profondi, come l’amore verso il proprio partner («Non è necessario l’amore») e l’impossibilità di un’iniziativa personale che era, agli occhi di un Occidente alle soglie di un boom economico, del tutto intollerabile.
Una curiosità sul finale
Per L’invasione il regista aveva previsto un finale più cupo – egli avrebbe voluto infatti terminare con i replicanti che prendono il posto di tutti i cittadini di Santa Mira e il protagonista, il dottor Bennell, che, puntando il dito verso il pubblico, esclama: «You’re next!» (e quindi chissà, secondo la lettura che abbiamo qui proposto, l’avvento, nella finzione cinematografica, del comunismo?) – ma i film hollywoodiani, lo sappiamo, sono noti per i loro “happy end” e la produzione impose il finale salvifico che… non sveleremo, per chi avesse voglia di (ri)vedere questa pellicola entrata, a buon titolo, nella storia della cinematografia non solo di genere fantascientifico.
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